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Oliverio all’attacco: «Gli ex fedelissimi contro di me? A differenza loro, non cerco poltrone» VIDEO INTERVISTA

«Il rinnovamento doveva essere applicato solo a Oliverio? Sa, me lo chiedo perché tutti quelli che gridavano al cambiamento sono invece rimasti candidati nella lista del Pd». Mario Oliverio è l’outsider della competizione elettorale. A capo di una sola lista si candida alla presidenza «non per una battaglia di mera testimonianza», ma per dare «linfa a un progetto politico più ampio». L’ex governatore, e in passato già deputato e presidente della Provincia di Cosenza, va all’attacco quando gli sono chiesti i motivi della fragorosa rottura con il mondo degli ex Pci capeggiato dai vari Adamo, Bruno Bossio e Iacucci: «A differenza loro non sono alla ricerca di “protezionismi” e di ricollocazioni. Io penso a un progetto che favorisca l’ingresso di nuove energie e volti nel campo della sinistra».
Il ragionamento serve da apripista per l’affondo: «A me non interessa fare accordi con il commissario del Pd per contrattare un posto. Se avessi voluto questo, lo avrei fatto dalla prima ora. Mi pare che questi soggetti siano alla ricerca di uno spazio, ma non è il viatico per rilanciare la sinistra in Calabria. Bisogna fare un passo indietro e io, paradossalmente, l’ho fatto perché mi sono messo in campo senza avere l’obiettivo di collocarmi in un’istituzione».
E quando a Oliverio viene fatta notare, pur con le inevitabili differenze dei tempi, una certa assonanza con il progetto autonomista che mise in piedi nel 2006 Agazio Loiero, l’ex presidente della Giunta conferma di guardare oltre le elezioni di ottobre.

Quanto all’esperienza alla Regione, Oliverio confessa di ritenere il più grande errore «quello di non essermi incatenato davanti a Palazzo Chigi per chiedere la fine del commissariamento nella sanità. Non l’ho fatto per un eccesso di lealtà istituzionale, dopo essere chiamato dall’allora premier. Purtroppo i risultati dicono che ho sbagliato e che sarei dovuto andare avanti per il bene della Calabria». Infine, una riflessione sui motivi della mancata ricandidatura nel 2020: «Credo che il Pd sia stato condizionato da una visione giustizialista e ci sia stato un cinico uso interno della vicenda giudiziaria che poi si è rivelata un’operazione di ingiustizia».

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