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Dove vuoi che ti porto, Muccino?

Ho mostrato il corto di Muccino ai miei parenti. Certo, un tablet era una cosa sorprendente, sul tavolo di legno ingombro di agrumi, peperoncini e carte da gioco. Mentre i miei parenti anziani giocavano a tressette, le mie parenti anziane, coi fazzoletti sulla testa (e certo il rosario e un corno rosso in tasca), tagliavano fette di soppressata («col finocchietto, zia!»), e i miei parenti giovani erano seduti a gambe larghe in piazza, con la coppola in testa, a guardare il passìo, o gli asinelli (scecchi, in idioma locale) guidati da un silenzioso paesano, pure lui con la coppola regolamentare.

Mangiando fichi e clementine (due frutti che di solito non s’incontrano tra loro, nel mondo reale, ma possono farlo nel mondo dorato del Photoshop). Mancava solo la musica del “Padrino”, ma a ben pensarci la deliziosa mazurchetta che accompagna tutti gli otto preziosi minuti del corto griffato Gabriele Muccino comincia con un che di padrinesco, tanto per geolocalizzare da subito i luoghi. Anzi, i luoghi comuni.

La Calabria a dorso di mulo, la Calabria tutta nduja, tarantella e amore – una Calabria da spot di bagnoschiuma (ma al profumo d’arancia) – è lo scenario della storiella sentimentale degli innamorati Raoul Bova e Rocío Muñoz Morales, protagonisti d’un perfetto nostos, che è come i calabresi che hanno studiato chiamano il ritorno a casa dei meridionali (dove c’è sempre una Penelope che aspetta, pure qui). Al grido di: «Dove vuoi che ti porto, amore?» (Nella Calabria vera, verrebbe da rispondere).

Non possiamo nemmeno provare a elencare, tra bergamotti e tovaglie a quadretti, bici e filari, tutta la Calabria che non c’è, nel corto. La Calabria delle storie e della Storia, dei monumenti, dei due mari e delle tre montagne, la Calabria di costa e di timpa, di riva e di rovo. La stessa Calabria del cinema, come s’era affacciata da qualche anno sulla scena, mietendo premi (4 Nastri d’argento, la Coppa Volpi per il Favino di “Padrenostro” di Claudio Noce, quella sì narrazione alternativa e ri-fondativa) e ritagliandosi (che beffa!) uno spazio nel mondo autoriale. Prima che il nuovo corso politico indicasse una diversa direzione estetica ed etica: i colori saturi, photoscioccanti, instagrammati dello spot, la narrazione da fiction sentimentale, la chiamata a raccolta di tutte le banalizzazioni sul Sud universale: coppole, cordialità, asinelli, la finestra del nonno, l’accento uguale dalla Campania in giù, tanto tutti fratelli terroni siamo.

E lo sforzo generoso con cui da anni i migliori talenti, le migliori penne e menti di questa terra stanno lavorando per tirarci fuori da lì, dall’immensa regione del Luogo Comune? Ignorato, svanito. Come lacrime nella pioggia. Pardon, come bucce di clementina sulla spiaggia.

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