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Regionali in Calabria, vertice Di Maio-Zingaretti ma ancora nessuna intesa M5S-Pd

Nessun voto contrario al taglio dei parlamentari: alla fine dell’ennesima giornata segnata dai malumori interni Luigi Di Maio incassa il congelamento del dissenso nel momento topico, quello del voto.

Del resto, già nelle ore precedenti all’ultimo sì della Camera alla riforma, il capo politico M5S aveva fatto trapelare la sua linea dura su un eventuale «no» di qualche deputato ad una delle battaglie «madri» del Movimento. Ed è una linea dura che, anche dopo l’ok dell’Aula, resta.

«Chi è contro allora voti di conseguenza, e si prenda le sue responsabilità sulle conseguenze sul governo», è il senso del messaggio, tranchant, trasmesso dai vertici pentastellati. E nel frattempo, Di Maio tenta di fare la quadra sulle Regionali, con un vertice ad hoc con il segretario Pd Nicola Zingaretti, avvenuto nella giornata di ieri. L’incontro, tenuto in riserbo per oltre 24 ore, ha avuto al centro innanzitutto il dossier Umbria, dove M5S e Pd corrono assieme a sostegno del civico Vincenzo Bianconi.

Ma secondo fonti Dem il vertice è servito a fare il quadro sulle alleanze in generale, evocando una «fase due» in chiave Regionali. E, nell’incontro, secondo le stesse fonti si è parlato anche di Calabria, Regione sulla quale è forte il malumore interno al Movimento, con i parlamentari contrari, al momento, a fare alleanze e la deputata Dalila Nesci che ha già avanzato la propria candidatura.

Al di là della centinaia di lucine verdi che hanno fatto esultare Di Maio per il sì alla riforma, la fibrillazione nel M5S resta oltre il limite di guardia e avanza parallelamente al momento dell’elezione dei capogruppo al Senato e alla Camera. Lo scrutinio inizierà in serata, contestualmente alla presentazione dei candidati all’assemblea, e proseguirà per 24 ore.

Ma il fatto che per eleggere il capogruppo sia necessaria la maggioranza assoluta e il numero di candidature (Anna Macina, Francesco Silvestri e Raffaele Trano alla Camera; Danilo Toninelli, Gianluca Perilli, Marco Pellegrini e Stefano Lucidi) rendono impossibile l’elezione al primo «slot». E, da qui alla settimana prossima, quando deputati e
senatori torneranno a votare, tutto è possibile.

Il rischio, evocato anche da più di un parlamentare, è che la gara fra capogruppo si trasformi in una conta tra «pro» e «contro» Di Maio. Alla Camera, ad esempio, Macina e Trano rappresentano, di fatto, sensibilità opposte rispetto ai vertici pentastellati laddove Silvestri, nella sua «squadra», ha inserito qualche critico e qualche esponente ortodosso.

Al Senato la battaglia è ancora più aspra, tra sirene renziane, ex ministri tagliati fuori dal governo giallo-rosso, e malpancisti sul nuovo corso sulle alleanze. I giochi, insomma, sono apertissimi e il rischio, per Di Maio, di trovarsi un capogruppo non proprio allineato è alto. Anche perché, per dirla come uno dei parlamentari più in vista nel M5S, «un capogruppo deve fare il capogruppo, ovvero deve fare sintesi».

Il capo politico, al momento, derubrica i malumori a sortite singole. «Che scissione? Per avere una scissione ci vuole un leader. Qui il problema non è neanche più Di Maio, è che si vuol fare di testa propria....», si ragiona nei vertici del Movimento, particolarmente irritati dalla sortita, prima di Dalila Nesci e poi di Barbara Lezzi (in suo appoggio) sulla Calabria. Di Maio affronterà il fronte interno nuovamente a Italia 5 Stelle, quando lancerà la nuova organizzazione fatta dai 12 facilitatori nazionali e dai referenti.

Una riforma che, i dissidenti interni, vorrebbero però più tranchant. Ci si avvia, insomma, ad una kermesse - a Napoli, nel weekend - dai mille volti, dove è concreto il timore di contestazioni e alta la speranza che Beppe Grillo richiami una volta ancora all’unita il Movimento. Quell'unità che, nel flash mob in piazza a Montecitorio per festeggiare il taglio ai parlamentari, è mancata: non tutti i deputati sono usciti dalla Camera (alcuni lo hanno fatto in ritardo) come segno, simbolico, di dissenso.

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