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La 'ndrangheta e la sua storia segreta raccontata da Gratteri e Nicaso

Nicola Gratteri

La mafia più potente d'Europa ha una storia ormai senza segreti. Una storia raccontata, attraverso inoppugnabili documenti e testimonianze, da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso. Il magistrato anti 'ndrangheta per eccellenza e il giornalista-scrittore, docente nelle università canadesi e statunitensi, svelano nel loro quindicesimo volume la genesi della “malapianta” che affligge ormai non solo il nostro Paese ma ampie fette del Vecchio continente, dell'Oceania e del Nordamerica. Il testo, edito dalla Mondadori, s'intitola “Storia segreta della 'ndrangheta” ed in poche settimane è già alla terza edizione ed ai vertici delle classifiche di vendita italiane nel settore della Saggistica.

«Se la ricchezza della 'ndrangheta – scrivono gli autori – segue mille rivoli, la sua testa è ancora lì, nel cuore di pietra dell'Aspromonte, dove tutto è cominciato». Il racconto di Gratteri e Nicaso è assolutamente avvincente e consente di ben comprendere come, sin dall'origine, a rendere forti i mafiosi calabresi siano state le relazioni con il potere. Relazioni che ritroviamo già nella Reggio post unitaria dove, a causa delle ingerenze della “picciotteria”, nel 1869 viene addirittura sciolto il consiglio comunale. Oppure, ancora, è con la politica che il capo della mafia si struscia per ottenere il controllo dei fondi destinati in riva allo Stretto alla ricostruzione dei luoghi devastati dal terremoto del 1908.

Nicaso e Gratteri ricostruiscono i primi maxiprocessi contro le associazioni per delinquere, istruiti a Reggio, Palmi, Nicastro e Cosenza tra la fine dell'Ottocento ed i primi anni del Novecento, dimostrando come il fenomeno mafioso, non ancora riconosciuto normativamente, avesse una espansione lineare, da Sud a Nord, in ogni angolo della regione. Significativa appare l'analisi del ruolo avuto da boss e picciotti durante il fascismo con taluni infiltrati nel partito-Stato e altri, invece, fieramente schierati contro il mussolinismo.

Fa impressione, poi, scoprire che alla fine del secondo conflitto mondiale esponenti importanti dell'antifascismo abbiano sfilato al seguito della bara di Michele Campolo, riconosciuto come il «gran criminale», cioè il capo della mafia reggina, morto mentre stava scontando una condanna all'ergastolo.

Il viaggio dei due autori continua per 230 pagine alla scoperta dei primi fenomeni di pentitismo – basti pensare a Serafino Castagna, il cosiddetto “mostro di Presinaci”, primo collaboratore di giustizia del Dopoguerra – approdando fino ai gesti di coraggiosa ribellione al racket delle estorsioni come quello compiuto dall'imprenditore Antonio D'Agostino di Villa San Giovanni. Dal contrabbando di sigarette degli anni 60 la 'ndrangheta passa poi all’infiltrazione sistematica nei lavori pubblici (si pensi a cosa accadde con la costruzione dell'autostrada A3 e del porto di Gioia Tauro), ai sequestri di persona, fino al traffico internazionale di droga. Tra i sequestri, spicca quello di Paul Getty junior, che rappresenta il salto di qualità compiuto in questo settore dalle cosche.

Le guerre di mafia scoppiate tra il 1975 e il 91 regalano una visione complessiva sulle dinamiche di trasformazione della mafia calabra perché con il piombo vengono cambiate le gerarchie e le direzioni strategiche delle 'ndrine operanti su tutto il territorio regionale.

Nicaso e Gratteri, nella terza parte del volume, descrivono la “colonizzazione” operata dai clan nel resto della Penisola, in molte nazioni europee (Germania, Francia, Belgio), in Australia ed in Canada. Sia sul suolo patrio che all'estero, tuttavia, i padrini cambieranno la pelle per meglio mimetizzarsi, ma non i metodi, intessendo rapporti con esponenti politici e segmenti dell'imprenditoria.

Gli autori concludono con una considerazione amara e condivisibile: «È la politica l'aspetto più inquietante», scrivono. «Dapprima in Calabria e oggi anche nel resto del Paese, è sempre più difficile distinguere tra potere istituzionale e potere criminale, tra lecito e illecito, tra economia pulita ed economia sporca. Un tempo si faceva distinzione tra 'ndrangheta e politica. Erano due mondi separati, anche se comunicanti. Oggi quella congiunzione rischia di diventare una forma verbale».

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