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Grande Aracri: l'investitura, i piani e la religiosità del "signore" del Crotonese e della Sila

Ma Nicolino "manu i gumma" è stato anche un padrino capace di affascinare commercialisti bolognesi in auge, disporre investimenti, gestire attività imprenditoriali, godendo d’un consenso diffuso

Nicolino Grande Aracri

Nicola contro Nicola. "Voglio parlare con il procuratore Gratteri": il capo dei capi della 'ndrangheta dell'area centrosettentrionale della Calabria vuole consegnarsi allo Stato e sceglie di farlo con il suo più irriducibile “nemico”: Nicola Gratteri. Lui non è un boss qualsiasi e se deve parlare vuol essere certo di “cantare” con la persona giusta: un magistrato incorruttibile e inarrivabile al quale rivelare tutti i suoi più inconfessabili segreti. L'incontro avviene in un carcere e senza fronzoli. Quali saranno gli effetti dell'avvio della collaborazione con la giustizia di Grande Aracri potremo capirlo solo nei prossimi mesi. Ma chi è quest'uomo temuto e rispettato da tutti gli 'ndranghetisti sparsi per il mondo?

Nicolino “manu i gumma”: così è conosciuto da amici e nemici Nicola Grande Aracri, “signore” del Crotonese, della Sila è diventato lentamente padrone pure dell’Emilia Romagna. Per decenni braccio destro di don Antonio Dragone, affermato e temuto padrino cutrese alleato degli Arena di Isola Capo Rizzuto, “Nicolino” alla fine degli anni 90 ha deciso di prendersi tutto. E il primo passo è stato quello di eliminare proprio il suo capobastone, assassinato al termine di un rocambolesco inseguimento avvenuto sulle colline di Crotone. Da allora ha assunto le redini della “famiglia” regolando i conti con le cosche che l’avversavano nell’area ionica della Calabria e, poi, ha raffinato il piano di espansione verso la ricca e gaudente Emilia.

Molti dei suoi piani sono stati ricostruiti dai magistrati inquirenti per via di una micidiale ed efficace microspia piazzata nella “tavernetta” ricavata all'interno dell'abitazione del superboss a Cutro. Lì, il mammasantissima calabrese – come faceva John Gotti a New York nella celeberrima saletta riservata del “Ravnite club” - riceveva i suoi sottoposti dando ordini e disegnando, di volta in volta, strategie criminali e di affari.

Interessante pure quanto registrano le forze dell'ordine in merito ai rapporti sotterranei che il padrino cutrese ha intessuto con ambienti “cavallereschi” e paramassonici. Un sodale di Belvedere Spinello chiede senza giri di parole al suo potente interlocutore: «Tu hai l’investitura?». E Grande Aracri: «Sì, dei cavalieri di Malta». Appartenenza che conferma un’ulteriore infiltrazione del boss cutrese in certi ambienti: «E lì ci sono proprio» spiega Grande Aracri «sia ad alti livelli istituzionali e sia ad alti livelli di ’ndrangheta pure». Millanterie? Si, forse. Ma inquietanti. I Cavalieri di Malta con lui non hanno mai avuto a che fare. E lo chiariscono subito. E' un altro l'Ordine cavalleresco cui Grande Aracri fa riferimento.

Ma il boss, oltre a una rete “coperta” di rapporti, coltiva pure una sua personalissima religiosità: quando le forze dell'ordine fanno irruzione nella sua dimora calabrese, trovano nel soggiorno di casa un quadro con cornice in oro della Vergine di Polsi, mentre sul comò della stanza da letto campeggiano due statue: una sempre della Madonna della Montagna, l’altra dell’incolpevole San Michele Arcangelo, contemporaneamente protettore della Polizia di Stato e patrono dei mafiosi. Grande Aracri, scopriranno successivamente gli investigatori, è dedito pure a fare offerte ad un’opera caritatevole riconducibile a un prelato vaticano poi «interessato» a sollecitare il trasferimento da un carcere del Settentrione a un più comodo e vicino penitenziario calabrese del genero incriminato per fatti di mafia.

Ma è in Emilia che il capobastone ora pentito attua una invasione apparentemente pacifica. Una invasione che era cominciata negli anni ‘80 nell’area di Reggio Emilia sfruttando i tanti artigiani partiti dal Crotonese in cerca di fortuna nel mondo dell’edilizia ed è poi diventata, nel tempo, una pianificata occupazione di spazi e d’interessi. Una occupazione appunto “benedetta” da Grande Aracri, un padrino capace di affascinare commercialisti bolognesi in auge, disporre investimenti, gestire attività imprenditoriali, godendo d’un consenso diffuso non solo tra la folta comunità calabrese ma pure tra titolari di aziende emiliane desiderosi di poter contare su capitali freschi e utili protezioni.

La potenza di Grande Aracri nella regione famosa perché vi ha sede l’università più antica d’Italia, è raccontata dai pentiti di ’ndrangheta Antonio Valerio, Pino Giglio (imprenditore di riferimento del superboss), Angelo Cortese e Nicola Femia, quest’ultimo “re” di scommesse, videopoker e “macchinette” mangiasoldi in terra emiliana. Ma don “Nicolino” ha messo piede con la sua organizzazione anche in Basilicata. Il 23 luglio del 2012, infatti, vanno a fargli visita a Cutro, ignari d’essere intercettati e fotografati, dei “compari” lucani. E stabiliscono con lui di organizzare diverse attività imprenditoriali: dalla installazione di impianti eolici per la quale discutono del trasporto delle attrezzature fino alle “macchinette”. I lucani assicurano, in tal senso, i “cugini” calabresi che l’attività di noleggio e installazione dei “totem” garantisce introiti significativi: «Senza anticipare soldi, sulla vincita si prende il 30 per cento...». Detto e fatto. Parte il business che la polizia seguirà e smantellerà.

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