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L'arresto di Tallini: nomine e pressioni in assessorato per fare strada all’ingresso del clan

Domenico Tallini

«La contiguità ‘ndranghetistica di Domenico Tallini sfiora la vera e propria intranietà». Così il gip del Tribunale di Catanzaro Giulio De Gregorio, chiosa dopo aver passato in rassegna gli elementi a carico del presidente del Consiglio regionale della Calabria. Eppure il giudice non ha inteso disporre il carcere per il politico, così come avevano richiesto i pm della Dda, ritenendo più congrua la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione con l’esterno.

L’accusa nei suoi confronti è di concorso esterno in associazione mafiosa e scambio elettorale politico mafioso. Dalla sua postazione al vertice della politica calabrese avrebbe fornito «un contributo concreto, specifico e volontario per la conservazione il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione».

Tallini - riporta la Gazzetta del Sud in edicola - avrebbe promesso e assicurato, «in cambio del sostegno elettorale da parte del sodalizio la sua disponibilità nei confronti» della cosca. Il clan, secondo l’accusa, era interessato ad avviare ed esercitare l’«attività imprenditoriale della distribuzione all’ingrosso di prodotti farmaceutici», per mettere le mani sull’intero settore.

Da assessore regionale al Personale avrebbe fatto pesare il suo ruolo promuovendo «la nomina del responsabile del relativo ambito amministrativo regionale» e inducendo «i soggetti preposti a rilasciare la necessaria documentazione amministrativa e certificazione».

«Tallini - spiegano gli inquirenti - spianerà ogni asperità che si presentava sul cammino amministrativo della costruzione del Consorzio: utilizzando il suo potere di assessore regionale riorganizzerà il dipartimento interessato facendo sì che una persona "gradita" potesse assumere l'atto autorizzativo».

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