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Repice, la ‘voce’ del calcio: “Torno in Calabria, intanto sarò a Istanbul. Budapest? Morirei...”

Francesco Repice è tornato a casa, nella sua Calabria. Anche stavolta per poco tempo, ma il destino è Tropea, terra di suo padre. Il “The voice” italiano dei nostri tempi, degno erede di Ameri, Ciotti, Cucchi; il cantore delle imprese delle italiane del pallone. Dell'Italia del pallone. A prescindere dalla fede calcistica, non c'è tifoso vero che non abbia tra le suonerie del proprio smartphone gli acuti mai banali del radiocronista cosentino: gli interisti dell'ultima Champions (che sotto sotto sperano possa concedere il bis il 10 giugno), i napoletani del terzo scudetto o - in generale - gli italiani che hanno portato a casa l'Europeo. C'era (e c'è) sempre Repice come splendido sottofondo delle imprese nostrane.

L'evento a Cosenza

Cosenza lo ha riabbracciato di recente, in occasione della celebrazione del calcio bruzio degli anni '60 e '70, in un evento ad hoc realizzato all'interno della Polisportiva Real Cosenza grazie all'iniziativa della Commissione Cultura del Comune. «L'emozione me l'hanno regalata i ragazzacci cosentini che negli anni in quegli anni hanno dato tanto lustro al calcio cosentino. Vedere che ci sono tanti bambini, molti nipoti dei presenti, che frequentano le scuole calcio è significativo.

Il rapporto con la Calabria

«Personalmente sto accorciando i tempi e gli spazi che mi separano dalla mia terra, non sarà tra molto tempo: tornerò. Sto cercando di riassaporare questa atmosfere perché mi saranno molto familiari tra poco e per il resto dei miei giorni».

La primavera del calcio calabrese e le fughe per andare a pescare

«Il Cosenza, che ho visto all'opera contro il Brescia, prova a resistere, il Catanzaro c'è riuscito, la Reggina è rimasta e il Crotone ci crede alla B. C'è un rinascimento del calcio calabrese in atto, che allargherei a tutto il calcio italiano: tre finali europee e cinque squadre complessive nelle semifinali, nonostante ci portiamo dietro la zavorra di un Mondiale fallito, non è male. Tornando al movimento calabrese, bisogna portarlo ai massimi livelli. Non è tollerabile che manchino squadre calabresi in A. Questa è una terra dove tutto è possibile, non ci sono limiti d'impresa. E non mi riferisco all'aspetto industriale del termine,  ma alla visione, alla fantasia e agli obiettivi. Io vi torno spesso, in maniera discreta, per andare a pescare: pallone, mare e cavalli sono le mie passioni. Tropea, poi, è il mio luogo dell'anima; la casa di mio padre, della famiglia di mio padre: un posto dove spero di finire la mia esistenza.

La finale di Champions e la passione per Josè Mourinho

«L'Inter spera di vincerla la Champions e fa bene. Se io fossi Darmian, Acerbi e Bastoni sarei caricato a pallettoni, perché vorrei dimostrare al mondo che la difesa italiana è insuperabile anche per il Manchester City: dovete avere la meglio su di noi per batterci. Per loro non sarà facilissimo. Quanto agli allenatori delle tre finaliste nelle coppe europee: Inzaghi, Mou e Italiano sono bravi e diversi, ma una pinta di birra la dividerei con Mou, l'allenatore della mia Roma. Lo considero un personaggio meraviglioso. Lui dice che chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio: massimo rispetto per gli altri due, ma il personaggio Mou è talmente affascinante da superare i limiti e i confini angusti di un campo di calcio».

Juventus e penalizzazioni

«Non credo ci sia un problema Juve o del sistema calcio, sono d'accordo con il ministro dello Sport, Abodi, e con il presidente Malagò:  la giustizia sportiva deve essere più veloce, ma bisogna tenere in debita considerazione che i gradi di giudizio sono a tutela degli indagati e deve esserci la certezza della colpevolezza, i tempi sono dilatati per questo motivo, è inevitabile. Se qualcuno ha commesso degli errori è giusto che paghi, al contrario che si riprenda quanto conquistato sul campo».

Le telecronache europee

«Sarò a Istanbul a raccontare la finale della Coppa dei Campioni tra Manchester City e Inter. Guarderò la Fiorentina contro il West Ham, ma con la mia Roma proprio non ce la faccio. Spero di sopravvivere alla notte del 31 maggio, giorno della finale di Europa League contro il Siviglia, ma di sicuro non potrò né vederla né sentirla: andrò in barca e me ne starò al largo. Non resisto, per me è troppo».

Ché poi è giusto che il distributore umano di emozioni, Francesco Repice, una volta tanto possa riceverne di momenti magici.

 

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