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Il derby della fede. Padre Fedele: “Un vero tifoso non conosce categoria”. Don Giovanni: “Viviamo un sogno”

Mescolare il sacro con il profano? Non sempre è possibile. Ma il calcio rappresenta un fattore che ha una logica tutta sua, l’unico – probabilmente – in grado di sconfinare senza far “danni” tanta e tale è la sua forza di propagazione. E non è blasfemia affermare che quella calcistica è una fede a tutti gli effetti. L’irrefrenabile pulsione verso il cuoio che rotola spesso assume i contorni dell’“altra” Passione: quella biblica, che si scrive con la P maiuscola è ha tutto un altro significato, come possono testimoniare i tifosi del Cosenza, “vittime” dell’ennesima stagione da trascorrere col capo chino, classifica alla mano. Se non fosse che l’orgoglio bruzio è talmente debordante da andare ben oltre il grado di fanalino di coda appioppato ai rossoblù dal campo. Ecco, proprio come una fede. Che spinge 6-700 tifosi, in ogni trasferta, a macinare centinaia e centinaia di chilometri per seguire i propri beniamini, a prescindere dai risultati. A prescindere dalla frattura insanabile con la proprietà rossoblù (col plenipotenziario Guarascio, sempre più padre padrone). A prescindere dall’avversario di turno. Ed è proprio quel “a prescindere” a profumare di fede.
C’è poi la passione ricambiata, se ci si sposta verso il Sud estremo e ci si affaccia sullo Stretto, perché a Reggio chi vive di pane e calcio è nella pace dei sensi. Dopo lo spavento di qualche mese fa, con l’avvento di Saladini (e del presidente Cardone, e di Pippo Inzaghi...) la musica è cambiata, con l’unico tarlo del caso Irpef a rodere l’ambizione con la A maiuscola. Vedremo come andrà.

Il frate ultrà

E poi c’è chi è testimone delle Fede maiuscola. Chi indossa un saio da decenni. Perché mai come nel caso di padre Fedele Bisceglia, l’abito... fa il monaco. Lui, che proprio grazie alla fede calcistica ha scoperto quella per il Signore. «Quando entrai in seminario per volere della mia famiglia ero preoccupato», rivela il frate rossoblù, «non era maturata ancora in me la vocazione. E allora chiesi al superiore se ci fosse un modo per giocare a pallone anche lì. Per tutta risposta mi descrisse un campo di calcio, capendo che sarebbe stato un modo per convincermi. Ma non si dica che la palla entra in porta per volere di Dio. Chi sta lassù ha pensieri molto più importanti. Ciò non vuol dire sminuire la passione per questo sport che è grandissima e non confligge con la Fede spirituale. Cosa significa per me il Cosenza? Moltissimo. Ricordo gli anni trascorsi in curva con i miei ragazzi. Li esponevo alla generosità, a impegnare la loro grande passione anche al di là degli spalti: gli ho fatto scoprire l’Africa e la bellezza delle missioni (padre Fedele, 85 anni, è tornato recedentemente da un viaggio in Madagascar: ndr). Oggi, da tifosi, viviamo una grande sofferenza, ma il segreto è non essere legati alla categoria. Il Cosenza resta tale dappertutto. Anche in D. Anche in Africa. Dovunque andranno i “lupi”, mi troveranno».
Il derby arriva nel momento meno indicato: i rossoblù hanno toccato il punto più basso dell’era cadetta. «Non sono un profeta», non si sbilancia il monaco cosentino, «e non posso prevedere come andrà la partita. Di sicuro invito i nostri ragazzi a lottare in campo: la partita con la Reggina ha sempre un sapore speciale. Bisogna entrare sempre sul prato verde per vincere. Ma in un derby ancor di più».

Il “don” amaranto

Don Giovanni Zampaglione ha un rapporto speciale con la Reggina. Da agosto è il direttore dell’Ufficio per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria e Bova, ma in passato ha indossato i panni di padre spirituale degli amaranto. La fede calcistica e il rapporto con la sua squadra del cuore è rimasto intatto. «Più che di fedeli alla squadra di calcio è più corretto parlare di sportivi, di tifosi. All’interno di uno stadio», sottolinea don Giovanni, «ci sono tanti tipi di sostenitori: quello da curva, da tribuna e da gradinata. Ognuno con la propria passione, ognuno con il proprio coinvolgimento. Io auspico sempre di fare tutto con la passione giusta nel rispetto dell’altro. Credo molto nella funzione del calcio. Nascere a Reggio significa vivere in un territorio con tanti problemi di carattere ambientale, sociale, economico, che spesso porta i ragazzi ad andare via per realizzare i propri sogni. Ma si nasce con il cuore amaranto che ti “segue” anche se ti trasferisci altrove. Quella passione che, mentre tutti tifano per i grandi blasoni, ti fa restare attaccato alla maglia amaranto per sostenere la Reggina con il bello o il cattivo tempo. La stagione degli amaranto la sto vivendo in maniera entusiasta. Dopo la partenza a razzo la classifica resta comunque ottima. La squadra è unita, ci darà tantissime soddisfazioni». Se a Cosenza è in atto una dura contestazione, il mood della tifoseria reggina è opposto, al netto della questione Irpef. «La società, che ha dimostrato grande responsabilità nell’accollarsi i pesi della precedente, sicuramente saprà dimostrare nelle sede opportune la regolarità del proprio operato, d’altronde un uomo dello Stato come il presidente Cardone non è l’ultimo arrivato. Cosa penso del Cosenza? Siamo nella stessa barca, a lottare per rimanere in serie B e per fare emergere lo sport in ogni sua disciplina, alle nostre latitudini non si trovano molti imprenditori disposti ad investire nello sport, per cui dobbiamo apprezzare lo sforzo delle società calabresi che mantengono certi livelli. Dalle nostri parti i ragazzi che vanno avanti nello sport sono “frutto” di sacrifici personali delle loro famiglie e di piccole comunità territoriali che sostengono lo sport e combattono ogni forma di possibile devianza che da noi è sempre dietro l’angolo. Ovviamente spero in una vittoria della Reggina e... del rispetto». Fedeli al Cosenza e alla Reggina. Fedeli a una passione. Fedeli ai valori dello sport.

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