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"Primavera" uguale rinascita, allora ricominciamo dal teatro

Una fioritura tardiva ma quanto mai necessaria per tornare ad abitare, insieme, nel rispetto delle regole anti-Covid, i teatri, luoghi di cultura, bellezza e condivisione. Mai per un attimo gli organizzatori di “Primavera dei Teatri”, festival sui nuovi linguaggi della drammaturgia contemporanea, hanno pensato di rimandare al prossimo anno l’edizione numero 21 di una manifestazione che anno dopo anno ha confermato la sua importanza nella geografia dei festival dedicati al teatro contemporaneo, facendo di Castrovillari luogo di incontro e confronto per compagni e addetti ai lavori, critici e tanto pubblico.

Così anche nell’anno 2020 ci sarà la Primavera, spostata in autunno ma comunque foriera di rinascita. Da oggi e sino al prossimo 14 ottobre spazio al variegato programma che vedrà alternarsi su plachi al chiuso e spazi all’aperto 20 compagnie tra le più innovative e premiate d’Europa, con 7 prime nazionali, un’anteprima e poi performance, mise en éspace, progetti internazionali, incontri, laboratori, concerti e Primavera Kids per i piccoli spettatori.

«Abbiamo voluto provare a ridare coraggio con l’arte ad una società che è abbastanza provata da questa situazione pandemica – sottolinea Dario De Luca, ideatore e direttore del festival insieme a Saverio La Ruina e Settimio Pisano, per la compagnia Scena Verticale – con un presente fatto di mascherine, contingentamento, aggregazioni tenute sotto controllo, allora perché non cominciare a farlo dai teatri, luoghi della cultura, della bellezza, del contemporaneo? Ci è sembrato ancor più urgente e importante fare il festival, anche fuori stagione e nonostante l’incertezza nel non sapere ancora se abbiamo vinto l’avviso pubblico che sostiene per il 90% l’intero festival, ma siamo fiduciosi».

Una riflessione multiforme sulla realtà attraverso il teatro: Primavera dei teatri come un mosaico prezioso, intesse fili e permette di scandagliare temi complessi e sfaccettati come relazioni sociali, tecnologia, politica, amore, con uno sguardo sul presente. Spazio alle voci del Sud, tra Sicilia e Calabria, alle produzioni più interessanti del panorama italiano con uno sguardo puntato in Europa e non solo, tra progetti e collaborazioni. Oggi ci sarà pure l’inaugurazione dell’installazione “Alla luce di fatti. Fatti di luce”, opera di teatro/architettura in cinque atti simultanei di Giancarlo Cauteruccio, fondatore di Teatro Studio Krypton, che propone un viaggio di percezioni rappresentato da alcune realtà architettoniche cittadine. In programma poi stasera l’anteprima nazionale del nuovo lavoro di Fabrizio Sinisi, diretto da Claudio Autelli, “La fine del mondo”, che riflette sull’emergenza ambientale, e lo spettacolo vincitore di In-Box 2020, “Stay Hungry. Indagine di un affamato” del messinese Angelo Campolo, per Daf-Teatro dell’Esatta Fantasia, in cui si incrociano storie e incontri segnati dalla medesima fame d'amore e conoscenza.

«Stay Hungry ricorda quanto sia importante andare oltre le apparenze, i giudizi facili che siamo portati a formulare di fronte ai problemi. Non vedo l’ora di portare in scena lo spettacolo, sono felice e grato al festival per l’ospitalità e l’accoglienza – spiega Campolo – . Primavera dei Teatri offre un’occasione importante di confronto tra artisti e in questo momento più che mai credo sia un’azione necessaria e coraggiosa che andrebbe sostenuta in tutti i modi. Con Giuseppe Ministeri saremo anche presenti all’incontro “Lo stato dell’arte”, progetto di C.Re.S.Co., coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, che vuole far dialogare tra loro le voci più significative della creazione contemporanea italiana negli ambiti del teatro e della danza».

E domani in programma, al teatro Sybaris, “Trapanaterra”, di Dino Lopardo in scena insieme a Mario Russo, autore delle musiche, «lo spettacolo – si legge nelle note – propone una ricerca profonda sulla realtà del Mezzogiorno intesa come un costante ossimoro. Un’Odissea meridionale, una riflessione sul significato di “radice” per chi parte e per chi resta, un’ironica e rabbiosa trattazione dello sfruttamento di una terra, tra ricordi, dolori e memoria, tutto impastato nel dialetto, osso delle storie che s’insinua come la musica».

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