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Omicidio a Cosenza, Mirabelli: «Microspie in casa». La figlia della vittima: «Le ho medicato le ferite»

La strana ossessione. Tiziana Mirabelli, 47 anni, viveva con Rocco Gioffré, suo vicino di casa, un rapporto complicato. Un rapporto alimentato da una sorta di esagerata forma di controllo che il pensionato pare volesse esercitare sulla donna. Un controllo diventato negli ultimi mesi asfissiante: la quarantasettenne, interrogata dal gip Alfredo Cosenza, ha infatti rivelato che il pensionato le aveva imbottito l’abitazione di microspie. “Cimici” che la Mirabelli avrebbe rinvenuto e rimosso, nascondendole poi all’interno di una borsa rimasta nell’appartamento posto al quinto piano nella palazzina di via Montegrappa teatro del delitto. I carabinieri sono andati a prenderle. Si tratterebbe di strumenti non sofisticati acquistabili con facilità su internet.
L’indagata, che è difesa dall’avvocato Cristian Cristiano, ha pure indicato al pm Maria Luigia D’Andrea e al procuratore capo Mario Spagnuolo, l’esistenza sul suo cellulare di numerosi messaggi ricevuti dall’uomo che ha assassinato con 30 coltellate. Messaggi che rivelerebbero l’atteggiamento ossessivo-compulsivo mostrato dal pensionato nei suoi confronti. La vittima, infatti, la invitava a non incontrare alcune persone ed a limitare le uscite. Il telefonino è stato sequestrato dai militari del maggiore Antonio Quarta. «I dati riferiti» chiarisce l’avvocato Cristiano «sono perfettamente riscontrabili».

La figlia del pensionato: «Diceva d’essersi fatta male al lavoro»

Le chiavi di casa, il cellulare e il portafogli della vittima sono spariti. Giovanna Gioffrè non riesce a darsi pace. L’incontriamo a pochi passi dalla caserma dei carabinieri dove è stata appena risentita. «Mio padre» ci dice subito «non era un uomo violento e non credo a una parola della versione resa dalla donna che l’ha ucciso.»
Ma qual era -chiediamo - il rapporto tra i due?
«Di affetto e parentela perchè il fratello dell’assassina ha sposato mia cugina. Lei era come una di famiglia».
Non c’era un legame sentimentale?
«Erano come un padre e una figlia. La casa di papà per lei era come la casa di un congiunto: entrava e usciva».
Ma avete mai nutrito sospetti nei suoi confronti?
«No. Pensi che dopo il delitto si è venuta a fare la tinta ai capelli a casa nostra, cioè nell’appartamento di mio padre, come se il morto non fosse a pochi metri da noi. Era tranquilla. Sabato, addirittura, le ho medicato le ferite che presentava alle mani: mi ha detto che si era bruciata a lavoro usando la “Vaporella”».

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