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I sicari della 'ndrangheta: storia degli assassini a pagamento reclutati dai boss nel Cosentino e nel Vibonese

Pagati per uccidere. Uomini assoldati dalle cosche per far fuori traditori e nemici. E per regolare conti rimasti aperti. In gergo criminale l’accordo siglato tra i mandanti e l’esecutore viene definito “contratto”. Il sicario, in genere un insospettabile sempre sconosciuto alle vittime, prende un congruo anticipo prima del delitto e incassa il resto a cose fatte. Nel Cosentino ha interpretato questo inquietante ruolo Adamo Bruno, anonimo artigiano di Firmo.

Tra gli investigatori dell’area settentrionale della Calabria nessuno ne conosceva l’esistenza fino a quando, durante la guerra di mafia scoppiata a Paola a metà dello scorso decennio, venne ingaggiato per uccidere l’allora boss Giuliano Serpa e compiere altri due delitti. L’uomo, tuttavia, chiamato a eseguire, nel luglio del 2007, la prima missione di morte sbagliò obiettivo e ammazzò, al posto di Serpa, un incolpevole operaio forestale, Antonio Maiorano. La vittima che s’era seduta a leggere il giornale su una sedia di plastica davanti allo stadio di Paola, all’arrivo dell’omicida tentò la fuga e venne rincorsa e finita. Sulla stessa sedia, pochi minuti prima, era seduto proprio Serpa che solo grazie a una tragica combinazione s’era alzato per spostarsi d’una decina di metri più avanti. Lo “specchietto” aveva indicato al sicario la posizione dell’obiettivo che, entrato in azione, non andò per il sottile. Adamo Bruno finì successivamente in manette e decise di collaborare con la giustizia.

L'errore compiuto pesò in maniera decisiva sul suo pentimento. Ammise le proprie responsabilità e aiutò la Dda di Catanzaro a far luce non solo sul fatto di sangue di cui s'era reso responsabile ma pure sul complesso scenario criminale dell'area tirrenica cosentina. Bruno è stato condannato a poco più di 7 anni per l'omicidio commesso ed è tornato in libertà. Ha risolto il rapporto con il Servizio centrale di Protezione ottenendo la cosiddetta “capitalizzazione” e vive in una località imprecisata d'Italia. Nella ’ndrangheta, che si caratterizza come una organizzazione criminale basata su vincoli parentali e con una base di tipo clanico-familiare, è difficile immaginare l’utilizzo di assassini prezzolati. Sembrerebbe più logico e sicuro far eseguire le esecuzioni deliberate per vendetta o per interesse a uomini della “famiglia”: la storia di Adamo Bruno, invece, dimostra che il ricorso ai “boia” a pagamento è spesso avvenuto in ogni angolo della regione.

L’ultimo eclatante caso è quello che vede protagonista Marco Gallo, 35 anni, perito elettrotecnico di Falerna, condannato in primo grado all’ergastolo in tre diversi processi per altrettanti agguati mortali. Il più clamoroso venne condotto dall'uomo ai danni dell’avvocato Francesco Pagliuso, la sera del 9 agosto del 2016, a Lamezia Terme. Gallo – che si protesta innocente e tale dovrà essere considerato sino alla definizione della vicenda giudiziaria – agì per conto della cosca catanzarese degli Scalise che intendeva “punire” il legale per l'impegno professionale mostrato in favore di Domenico e Giovanni Mezzatesta (padre e figlio) ritenuti responsabili e condannati con sentenza definitiva per l'uccisione, in un bar di Decollatura, di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo legati agli Scalise.

Tra gli attentatori ben pagati in Calabria c'è pure un ex carabiniere, Donato Giordano, di origine pugliese, che agiva per conto della cosca Costa nell’ambito della faida combattuta contro i Commisso. L’ultimo omicidio firmato da Giordano risale alle sera dell’11 luglio 1991 a Siderno. La vittima si chiamava Antonio Giorgini ed era titolare di una macelleria. L’insospettabile sicario era molto attento ai dettagli quando uccideva: per evitare guai o improvvisi esami stub, prima di consumare i crimini provvedeva ad “inquinare” con particelle di polvere da sparo le proprie mani e il proprio corpo allenandosi, sparando, in un regolare e certificato poligono di tiro di Roccella Ionica. Nonostante gli accorgimenti e le astuzie Donato Giordano venne riconosciuto dagli “avversari” e giustiziato il 17 luglio del 1991. Il suo corpo, orrendamente decapitato e carbonizzato venne ritrovato su un’auto abbandonata in contrada Limina di Mammola.

Collaborano invece con la giustizia altri tre assassini prezzolati, questa volta stranieri, ingaggiati dalla ’ndrangheta nel Vibonese. Si tratta del macedone Vasvi Baluli e del kosovaro Arben Ibrahimi, arruolati dai Patania di Stefanaconi per lavare col sangue la morte del capostipite Fortunato ammazzato nel 2011 dai rivali della cosca dei Piscopisani guidati da Andrea Mantella. Le confessioni dei sicari dell'Est sono costate la condanna al carcere a vita a quattro componenti della famiglia Patania. Il terzo “azionista” proveniente dall'Europa orientale è Peter Cacko, slovacco, autore di un omicidio compiuto, il 12 marzo 2004, a Ricadi in danno dell’imprenditore Saverio Carone. Pure lui, temendo di fare una brutta fine dopo i servigi resi, ha deciso di pentirsi.

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