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Retata a Cosenza, per "stare tranquilli" bisognava pagare al clan di San Vito - Nomi e foto

La tranquillità nei cantiere aveva il suo prezzo. E gli uomini del clan la valutavano con le bottiglie piene di benzina.  È uno dei retroscena che emerge dall'inchiesta della procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, che ieri ha colpito al cuore i nuovi boss di Cosenza ordinando 21 arresti e ricostruendo traffici di droga ed estorsioni compiuti nell'area compresa tra il capoluogo bruzio, Rende e Montalto Uffugo.

Ne trovarono due - ricostruisce la Gazzetta del Sud in edicola - i dipendenti dell’impresa che si occupava del restauro, a Spezzano della Sila, del convento di San Francesco di Paola. La prima a pochi giorni dall’inizio dei lavori e l’altra dopo qualche giorno. Segnali che lasciavano immaginare quel che sarebbe successo di lì a poco. Non fu una sorpresa, quindi, quando si presentò quell’uomo dal piglio inconfondibile – che sarà poi identificato col nome di Emanuele Apuzzo – a pronunciare la formula di rito.

Per andare avanti senza intoppi, a sentire i consigli di quell’uomo, bisognava scucire un po’ di quattrini. Si doveva dare «un contributo per le famiglie». La tranquillità, quella bisognava comprare, la tranquillità. Inizialmente venne detto al responsabile del cantiere che si trattava d’una cifra libera, «un’offerta». Poi però, quel «permesso di continuare i lavori» il “clan di Gianfranco di San Vito” – al cui vertice gli investigatori mettono Gianfranco Sganga – lo valutò in trentamila euro.

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