La 'ndrangheta emiliana è un'associazione mafiosa radicata nel territorio e «autonoma», seppur legata alla “casa madre” di Cutro. Dalla Cassazione è giunta l'ennesima conferma dell'ipotesi investigativa disegnata dai magistrati della Dda di Bologna che hanno condotto l'indagine “Aemilia” sul clan di 'ndrangheta che aveva messo radici sulle sponde del Po.
Ieri gli “ermellini” hanno depositato le motivazioni della sentenza con la quale il 25 ottobre dello scorso anno, hanno di fatto rese definitive le quaranta condanne inflitte il 12 settembre del 2017 dai giudici della Corte di Appello di Bologna agli imputati della maxinchiesta antimafia che avevano scelto il rito abbreviato.
Nelle 250 pagine che compongono le motivazioni di quella sentenza, riporta la Gazzetta del Sud in edicola, i giudici della Suprema Corte spiegano perchè hanno rigettato la gran parte dei ricorsi degli imputati del processo “Aemilia” che optarono per il rito abbreviato. Tra questi c'erano anche coloro che la Dda di Bologna considera come capi e organizzatori del sodalizio di ‘ndrangheta legato a doppio filo alla cosca Grande Aracri, colpita nel gennaio 2015 dall'operazione coordinata dalla Dda di Bologna, ma anche dalle inchieste gemelle “Pesci” (della Procura di Brescia) e Kyterion (della Dda di Catanzaro).
Tra le condanne inflitte dai giudici bolognesi e diventate definitive lo scorso ottobre ci sono quelle di Nicolino Sarcone condannato a 15 anni di reclusione; di Alfonso Diletto (14 anni e 2 mesi), di Antonio Silippo (14 anni) e Antonio Gualtieri (12 anni), indicati tra i capi e gli organizzatori della ‘ndrina emiliana. Anche il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri è stato coinvolto in questo stesso procedimento e condannato a 6 anni e 8 mesi ma per intestazione fittizia di beni, riciclaggio ed estorsione aggravati dal metodo mafioso.
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