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Terremoti, la cosa peggiore è continuare a non fare niente

Pino Paolillo

di Pino Paolillo*

Giovedì 20 gennaio, ore 10,19: un terremoto di media intensità (magnitudo 4.3), con epicentro il mare davanti a Briatico, ha messo un po’ di paura agli abitanti della costa e del Capoluogo, ma senza provocare danni “alle persone e alle cose”, per come recitano le cronache. Da allora l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha registrato altre sette scosse nel Tirreno Meridionale, di minore intensità. Diciamo che, anche stavolta, ci è andata bene, ma continuare a confidare fatalisticamente sulla buona sorte, in una regione come la nostra, è solo sinonimo di imperdonabile irresponsabilità. È la Calabria, signori, uno dei luoghi più instabili del pianeta e che, proprio per questo, ha registrato i terremoti più disruttivi mai verificatisi in Europa da 2000 anni a questa parte. Senza andare troppo indietro nel tempo, il 5 febbraio del 1783, alle 12,45, un tremendo sommovimento della terra (con epicentro Cittanova), probabilmente il più potente mai registrato in Italia, e le innumerevoli scosse chi si protrassero per ben quattro anni, cambiarono i connotati della parte meridionale della regione, provocando uno sconvolgimento dei suoli, 40.000 vittime, 182 paesi completamente distrutti (Castelmonardo venne trasferito e nacque Filadelfia) con un’epidemia nell’estate successiva che si portò via altre 18.000 persone.

Passa poco più di un secolo e all’alba del 28 dicembre 1908 “il terremoto” per antonomasia (valutato 7.3 di magnitudo) e il maremoto che ne seguì (con onde alte fino a 12 metri a Pellaro) rasero al suolo Reggio e Messina, provocando una immane strage di 100.000 vittime sorprese nel sonno a tre giorni dal Natale. Parliamo di “appena” 113 anni fa, o 116 se pensiamo al sisma dell’8 settembre del 1905 (probabile epicentro il mare davanti a Pizzo, o tra Vibo e Cessaniti) che provocò quasi 600 morti e danni ingentissimi alle abitazioni di Parghelia, Triparni, Filogaso, della frazione Zammarò di San Gregorio d’Ippona e di paesi del Poro.

Insomma, se nessuno può mai prevedere quando la terra comincerà a tremare, si può stare certi che laddove lo ha fatto in passato, prima o poi lo rifarà. E la Calabria, così come più o meno tutta la dorsale appenninica, per la sua storia geologica, è destinata a subire altri eventi catastrofici. La stessa presenza dell’arco delle Isole Eolie con i suoi vulcani attivi, testimonia l’instabilità della crosta terrestre con la grande “Zolla” africana che spinge sotto quell’area contro quella euroasiatica, deformando lentamente le rocce in profondità e creando una tensione che, con la rottura, scarica violentemente la sua energia sotto forma di onde, provocando in superficie l’evento sismico. Fu il meteorologo e geofisico tedesco Alfred Wegener a intuire, nei primi anni del ‘900, che i continenti sono tutt’altro che immobili, dopo aver notato che i margini atlantici dell’America del Sud e dell’Africa, sembrano i pezzi di un gigantesco puzzle separati dall’oceano, e che anzi, vanno “alla deriva”, gettando le basi per quella teoria, la tettonica a zolle (o a placche) che, corroborata successivamente da una straordinaria serie di scoperte scientifiche nel campo della geologia, rappresenta la chiave di volta , l’idea unificante in grado di spiegare il funzionamento della crosta terrestre, la sua formazione e il suo continuo divenire testimoniato da alcuni tra i più imponenti e spesso drammatici eventi come le eruzioni vulcaniche o i terremoti. Un’autentica rivoluzione nel campo della geologia, così come la teoria darwiniana lo fu per la biologia. E mentre Wegener elaborava la sua “Deriva dei continenti” l’Italia centrale venne sconvolta da un altro sisma disastroso, come quello che colpì Avezzano e la piana del Fucino nel 1915, che provocò 30.000 morti, seguito da tutta una serie di altri eventi drammatici come il terremoto dell’Irpina del 1930, Belice (1968), Friuli (1976), ancora in Irpinia (1980, 3000 vittime) e via via, quello del Molise del 2002 con il crollo della Scuola di San Giuliano di Puglia (CB) e ancora Umbria- Marche (1997) e infine Abruzzo (2016), cronaca tragica dei nostri giorni.

Assodato dunque che viviamo nella regione a più alto rischio sismico d’Italia, di fronte ad una prospettiva non certo rassicurante, ma assolutamente realistica di un fenomeno ineluttabile, che si fa?

Dopo la scossa del 20 gennaio, bene ha fatto l’amministrazione comunale di Vibo a vietare l’ingorgo di auto davanti alla Scuola Don Bosco, al fine di non ostacolare il deflusso degli scolari, ma di certo non basta. Continuo a chiedermi se esiste un piano di evacuazione che interessi e coinvolga tutta la popolazione del vibonese, paese per paese. O se i cittadini siano mai stati istruiti su dove recarsi in caso di sisma, se qualcuno ha mai spiegato, magari con opuscoli distribuiti casa per casa, come comportarsi appena si avverte la scossa per evitare guai peggiori, se gli alunni delle scuole sono stati mai addestrati (come si fa regolarmente in Giappone) a come comportarsi quando i banchi cominciano a tremare. Anche tenere a portata di mano una valigetta con i medicinali di uso quotidiano, quelli salvavita, dell’acqua, una torcia elettrica, una coperta ecc., degli alimenti secchi, può rivelarsi più che utile al momento opportuno, tenendo conto del fatto che il terremoto non manda un preavviso. Non dimentichiamo poi che i danni che lo stesso provoca non dipendono tanto dall’intensità in sé (naturalmente entro un certo limite), ma da tutta una serie di fattori, a cominciare dalla qualità delle strutture abitative e dal luogo in cui si verifica: un terremoto di fortissima intensità in una zona desertica non fa danni, a differenza di uno più debole, ma in una città. A maggior ragione se le sue case, come avviene in molti paesi della Calabria, sono ancora quelle con malta cementizia e non in cemento armato o comunque costruite prima dell’entrata in vigore delle norme antisismiche per gli edifici. Perché allora non puntare decisamente verso un programma edilizio di messa in sicurezza, a cominciare dalle scuole e dagli edifici pubblici, magari approfittando delle risorse messe a disposizione dal PNRR? Ciò significherebbe non solo un grosso impulso all’economia locale, l’impiego di ingegneri, geologi, ditte che operano nel settore edile, ma soprattutto una maggiore sicurezza dei cittadini, in particolare dei più giovani, in caso di eventi che, altrimenti, potrebbero avere conseguenze ben più gravi, per come la storia dovrebbe insegnarci, visto che finora ha avuto alunni, magari scaramantici, ma certamente smemorati.

* referente Wwf Calabria

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