Siamo a metà di una campagna elettorale veramente mai iniziata. Al netto di diretti protagonisti e addetti ai lavori, la percezione comune è quella di assistere a una corsa al voto soporifera. Una situazione davvero paradossale, alimentata da più fattori, non per ultimo il negativo combinato disposto tra una legge elettorale pessima e la riduzione dei parlamentari, votata senza molte riflessioni da un Parlamento completamente in balia delle pulsioni populiste più scadenti. Col taglio del numero degli eletti si è determinato uno stravolgimento dei collegi elettorali, con la creazioni di macrozone - pari o simili, per numero di votanti, a grandi metropoli - e un ulteriore allontanamento tra candidati e territori. Il risultato di tali condizioni rischia di sovvertire il modello di rappresentanza politica fin qui conosciuto.
Al resto ci hanno pensato le oligarchie dei partiti. Nelle liste - tutte - più che la competenza e il radicamento nelle comunità, sono state premiate la fedeltà ai leader e alle correnti predominanti in quelle formazioni. Si è assistito, dunque, ad una classica operazione corporativistica, che ha prodotto una desertificazione del dibattito e una definitiva rottura sentimentale tra popolo (militanti) e classe dirigente.
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