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Regionali Calabria, utopia e coraggio: l’eredità di Jole Santelli

La Calabria volta pagina dopo la breve e sfortunata parentesi segnata dall’elezione della prima donna alla presidenza. Il nuovo governatore chiamato a guidare una terra segnata dalla lunga crisi pandemica. Recidere il germoglio della speranza è il più grande errore che si potrebbe commettere

Molti auguri di buon lavoro al governatore che sarà eletto la sera del prossimo 4 ottobre. Ne avrà bisogno il nuovo presidente, chiamato a una sfida (quasi) impossibile. Già, perché non sarà facile porsi alla guida di una Regione ultima in quasi tutte le classifiche e segnata da una profonda crisi economica, acuita peraltro dalla lunga fase pandemica in cui ci troviamo.
Saranno tanti i nemici da sconfiggere: una ’ndrangheta ancora egemone in determinati territori (e settori); una burocrazia sensibile alle sirene della corruzione; un ceto politico di scadente qualità, spesso rappresentato da persone che intendono la politica non come servizio collettivo ma, al contrario, strumento per accrescere le proprie fortune; una giustizia che ha addirittura presentato permeabilità tra parti che normalmente dovrebbero essere contrapposte tra loro. Non è un caso che la Calabria sia la Regione con il più alto numero di commissariamenti governativi. Quello della sanità è il più longevo: è iniziato nel luglio 2010 e ancora non si sa quando finirà. Il paradosso è che la ricetta pensata per rilanciare un settore disastrato si è rivelata fallimentare, se qualche frammento di sistema sanitario regionale ancora regge, è per l’abnegazione di buona parte degli operatori sanitari. Per il resto, non potrebbe andare peggio: i conti non sono migliorati, le assunzioni promesse si sono concretizzate in minima parte. Un (mezzo) disastro, insomma.
Senza contare un’emergenza lavoro senza precedenti, con sempre più giovani costretti a lasciare la terra in cui sono nati, un completo abbandono del territorio segnato da grandi rischi idrogeologici e sismici. Per non aprire i capitoli dell’edilizia scolastica, che in alcune zone fa rabbrividire, del mare rimasto sporco nonostante le promesse di farlo diventare il punto centrale attorno al quale costruire l’attrattività del brand Calabria, della gestione di acqua e rifiuti largamente deficitaria.
Il sogno di Jole Santelli, eletta il 26 gennaio 2020, era di provare a smontare, pezzo dopo pezzo, un contesto così desolante. Ha guidato la Regione per pochi mesi, eppure qualche segno l’ha lasciato. Innanzitutto, va ricordato il lavoro di ricostruzione - sostenuto anche da buona parte della politica nazionale con cui vantava spesso relazioni feconde - della reputazione sfregiata dalla Calabria. E poi va ricordata la netta chiusura a ogni forma di illegalità, l’intuito di avviare un nuovo modello di governance, partendo dal basso e con al centro di ogni programma l’ascolto delle amministrazioni locali. È stata sicuramente una donna coraggiosa, in grado di affrontare la malattia con straordinaria dignità, davvero un peccato che la sua vicenda umana sia diventata – almeno per un certo periodo - terreno di scontro politico.

Il partito nel quale ha militato sin dalla sua fondazione, Forza Italia, sembra averla dimenticata un po’ troppo in fretta, non l’ha fatto invece Nino Spirlì, il leghista chiamato a raccoglierne le redini in questa lunga fase di reggenza alla guida della Regione.
Fare riferimento alla sua esperienza politica e amministrativa - prima donna ad arrivare alla presidenza della Regione dopo diverse esperienze in Parlamento e al governo - potrebbe rivelarsi persino naturale, non solo per i suoi colleghi, ma anche per gli avversari. È successo in passato e accade ancora per Riccardo Misasi, figura di riferimento del mondo democristiano, per Giacomo Mancini, leader del Psi per un lunghissimo periodo, per Fausto Gullo, colonna portante dei comunisti calabresi. Jole Santelli andrebbe rispettata per quello che ha rappresentato, una figura politica permeata dall’incontro, favorito anche da incroci familiari e frequentazioni personali, tra la cultura democratica e quella riformista. Strumentalizzarne la figura politica per propri tornaconti, questo sì sarebbe uno sfregio alla sfera intima e personale di una donna che aveva come obiettivo quello di ridare una speranza al popolo calabrese. Amputare il germoglio della speranza è l’errore più grande da non commettere per chi prenderà possesso dall’ufficio presidenziale posto al decimo piano della Cittadella regionale.

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