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Le affermazioni di Augias, una lettura superficiale e troppo “comoda”...

«Questa Calabria storicamente in castigo è in punizione senza sapere quali sono le proprie colpe»

Corrado Augias

«La Calabria è ormai una terra perduta, io ho il sentimento che sia irrecuperabile». C’è ricascato Corrado Augias su questa idea di Calabria terra persa e irredimibile. Dopo averlo scritto su la Repubblica lo ha ripetuto in una trasmissione di RaiTre. La questione però non è la battuta infelice del noto giornalista che comprensibilmente ha scatenato reazioni indignate sui social (anche da parte di esponenti della classe politica responsabile delle condizioni pessime della regione) ma è che l’opinione “cattiva” purtroppo la Calabria se la porta dietro da sempre. Inutile negarlo o, come dice lo scrittore Gioacchino Criaco, far torto a chi da fuori la vede così, sicuramente sbagliando. E’ che fuori da ogni pregiudizio cocciuto e spietato bisognerebbe prima di pronunciare giudizi superficiali analizzare le stagioni che hanno scandito la vita di un popolo come quello calabrese che ha una storia di umiliazioni e rovine. U popolo “esiliato” e privato - sotto lo stesso tetto costituzionale - di libertà e opportunità pari al resto del paese come scuole, infrastrutture, lavoro che sono ovunque elementi necessari per crescere e svilupparsi. Questa Calabria storicamente in castigo è in punizione senza sapere quali sono le proprie colpe. E questa sua estraneità del resto del Paese, quasi fosse una “terza Italia”, ancora differente dal Sud che è la “seconda”, è un’anomalia in Europa e in tutto l’Occidente. Ma è proprio per questo suo essere un pezzo d’Italia caduto ai margini, anche per colpe proprie, che necessiterebbe di giuste narrazioni rispetto gli abusati e crudeli stereotipi. Richiederebbe un racconto capace di far riemergere la sua storia negata: la tenacia di un’umanità forte che nel proprio destino ha avuto indicata una sola direzione, quella della “partenza”, svuotandosi di energie e di anime fino a diventare, secondo tutti gli indicatori economici, il fanalino di coda dell’Europa, la più povera, appena un gradino più su delle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla che però sono in terra africana. La più povera con la mafia più ricca del mondo: due record che inquietano. In una situazione siffatta tutto può accadere, anche che l’equilibrio democratico già fragile vacilli ancora di più scivolando verso lo strapotere della mafia. Detto ciò torniamo all’idea di Calabria che si ha nel paese e diciamo che liquidare la questione considerandola persa è un esercizio mediocre quasi razzistico. L’idea di Calabria “zona del male” ha prodotto un “pensiero comune” caro a opinionisti e politici utile a marchiare alcune regioni con etichette infamanti dato che il male come si sa è più fotogenico e attrattivo del bene. Urge un cambio di passo e il primo passo tocca ai calabresi farlo uscendo dall’atteggiamento vittimistico che non serve a niente ed è unicamente segno di chiusura: un prodotto della propria insoddisfazione e della rabbia a lungo celata. Serve come sosteneva in un suo libro lo storico e meridionalista Sergio Zoppi «riportare la Calabria nel cuore dello Stato e il senso dello Stato nel cuore dei cittadini della Calabria». E qui occorrerebbe anche la lettura attenta e non superficiale e frutto di preconcetti di intellettuali e opinionisti che spesso invece scivolano nella via larga e più facilmente percorribile del pressappochismo. E non è bene.

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