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Calabria, l’edilizia “malata” preoccupa l’Ance. "Nei cassetti fiscali fermi 200 milioni"

Il presidente calabrese dell’Associazione interviene sul caso sollevato dalla “Gazzetta”. Le preoccupazioni per le operazioni di cessione dei crediti incagliati. "In queste condizioni la cosa meno grave è il rischio di speculazioni"

La situazione relativa ai crediti fiscali bloccati nei cassetti delle imprese edili in Calabria è particolarmente critica. L’inchiesta condotta da questo giornale negli ultimi due giorni è servita a confermare l’esistenza di un “mercato” parallelo che ruota attorno alle imprese che operano nel settore. La preoccupazione non attraversa soltanto imprenditori e operai, ma investe anche i vertici di Ance Calabria. «Il contesto è problematico - ragiona Roberto Rugna, presidente dell’associazione costruttori edili - non tanto e non solo per il blocco imposto alla misura del Superbonus ma perché il governo non ha inteso regolamentare la fase transitoria fra i lavori in corso e lo stop alla misura. Tutto ciò ha determinato il blocco finanziario della cessione dei crediti su tutti i lavori in corso determinando una forte crisi di liquidità e di mancato rientro degli investimenti da parte delle imprese. Oltre 3 miliardi e mezzo di euro gli investimenti generati in Calabria per interventi su circa 16 mila edifici, di cui il 93,8% di lavori realizzati che hanno costituito un forte volano di sviluppo per tutto il settore edile nella nostra regione. Essendo realizzata la quasi totalità degli interventi è evidente come il blocco della cessione del credito abbia determinato una situazione di carenza di liquidità davvero delicata all’interno del sistema delle imprese. Stiamo parlando, in Calabria - secondo una stima effettuata presso le nostre imprese - di oltre 200 milioni di euro bloccati nei cassetti fiscali».

Il mercato “parallelo”

In un quadro così complesso si è assistito, negli ultimi tempi, al fenomeno delle società finanziarie spuntate che creano un fondo di investimento connesso a obbligazioni emesse sul valore nominale dei crediti acquistati. «Il problema - riflette Rugna - non è rappresentato tanto dai fondi di investimento e dalle obbligazioni o piuttosto che dalle cartolarizzazioni. Il punto principale è rappresentato dalla solidità e dalla serietà dei soggetti che propongono l’operazione e dalla chiarezza e trasparenza dei fondi di investimento che si attivano. Questo come premessa di carattere generale. Superato questo primo nodo critico, i problemi che si pongono nell’utilizzo di queste forme finanziarie sono i costi che l’impresa deve affrontare per la cessione e la pluriennalità dei crediti interessati. Oltre ai costi della due diligence iniziale – che non sono indifferenti – vi è il costo di cessione vera e propria che spesso e volentieri è superiore al 30% del valore nominale dei crediti ceduti. Nella versione istituzionale - fin quando ha funzionato - questi costi si erano attestati fra il 12 ed il 14%. Inoltre, come dicevo, molto spesso i crediti sono acquistati per annualità e pertanto il credito complessivo dell’impresa viene frazionato. Cosa quest’ultima che, non rendendo certo il rinnovo per le annualità successive, impedisce alle imprese di poter utilizzare altri canali finanziari più istituzionali, come ad esempio le banche, che difficilmente acquistano crediti già frazionati».

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