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Sos enti locali: con il “nuovo” Pnrr a rischio 900 milioni per la Calabria

Le proposte di modifica del Piano che Palazzo Chigi ha inviato a Bruxelles. Uno studio individua i progetti che subirebbero il definanziamento. Si tratta di quasi la metà delle risorse che erano affidate ai Comuni

Le modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza stanno impegnando il governo su due fronti: quello esterno è ovviamente legato alle decisioni che la Commissione europea adotterà in merito alla proposta arrivata a Bruxelles da Palazzo Chigi; sul versante interno va invece avanti il confronto - a tratti aspro - con l’Anci sulle criticità riscontrate nell’attuazione dei progetti e sulle prospettive del “nuovo” Pnrr. In merito a queste ultime però c’è già chi sta facendo i conti, visto che si parla del definanziamento di ben 9 misure del “vecchio” Piano. Per gli enti locali, in particolare Comuni e Città metropolitane, le modifiche prospettate si tradurrebbero nel rischio di perdere fondi per oltre 13 miliardi di euro a livello nazionale. E per la Calabria si parla, in particolare, di un possibile definanziamento di 905 milioni di euro, ovvero quasi la metà della somma (1,93 miliardi di euro) relativa ai progetti affidati in precedenza agli enti locali della regione.

Lo si evince dalle elaborazioni che la fondazione Openpolis ha effettuato incrociando i dati forniti dal governo e dall’Anci (con le rilevazioni della fondazione Ifel). Guardando ai numeri relativi alle singole province calabresi, emerge che quella più penalizzata, se la proposta del governo Meloni fosse accettata dalla Commissione Ue, sarebbe Reggio, con un rischio definanziamento di 333,79 milioni di euro (su 618,81 affidati in precedenza), seguono Cosenza (274,87 milioni su 658,14), Catanzaro (135,85 milioni su 359,9), Vibo (99,99 milioni su 173,34) e Crotone (60,93 milioni su 133,8).

Le 9 misure che il governo ha proposto di definanziare riguardano: interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l'efficienza energetica dei Comuni; investimenti in progetti di rigenerazione urbana; i Piani urbani integrati; le misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico; l’utilizzo dell'idrogeno in settori hard-to-abate; il potenziamento di servizi e infrastrutture sociali di comunità nelle aree interne; la promozione impianti innovativi (incluso offshore); la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie; la tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano.

Il governo ha sostanzialmente motivato la scelta parlando di investimenti che in gran parte finanzierebbero progetti in essere oppure progetti che rischiano di non essere completati entro il 2026. Gli enti locali sono stati spesso indicati come responsabili dei ritardi ma l’Anci ha rilanciato la palla delle responsabilità proprio nel campo delle amministrazioni centrali attraverso un apposito dossier pubblicato nelle scorse settimane. «Il dato di aprile 2023 – si legge nel report dell’Associazione dei Comuni – parla di 41mila gare già bandite dai Comuni nell’ambito di progetti Pnrr. L’analisi dello stato di attuazione del Piano nella prospettiva di una sua parziale revisione mostra dunque come gli investimenti di Comuni e Città Metropolitane non presentino ritardi e criticità tali da giustificare l’ipotesi di una loro riprogrammazione». È anche vero che diverse delle misure definanziate abbiano fin qui presentato delle criticità.

L’esecutivo, dopo le polemiche sollevate dall’annuncio del definanziamento, ha assicurato che tutti i progetti saranno recuperati attraverso l’impiego di risorse provenienti da altre fonti di finanziamento. Ma un altro dossier, realizzato dai Servizi studi di Camera e Senato proprio nei giorni scorsi, ha sollevato dubbi sulla capacità di intercettare le risorse necessarie spiegando che non viene specificato «quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal Pnrr».

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