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Stornelli e “Profaziate” ora nell’eternità: l'addio al cantastorie della Calabria

La prima volta che me ne accorsi fu tantissimi anni fa. Otello aveva tirato qualcosa fuori di tasca e l'annusava, anzi – mi parve – l'aveva proprio messa in bocca. In questi casi si fa presto a pensar male, ma nel suo caso era impossibile. Come si poteva pensare male di Otello Profazio, cantautore, cantastorie e ricercatore delle tradizioni della sua Calabria, l'artista che ci lasciato ieri? Fu lui stesso, di fronte al mio sguardo curioso, a svelarmi l'arcano: «Tengo sempre in tasca un po' di peperoncino piccante, è il mio carburante».
Ecco, a mio parere, è uno di quei particolari che si possono definire significanti per capire la profondità del suo essere calabrese. Il peperoncino era ed è un tipico prodotto della sua Terra – in senso lato – e un prodotto della terra – in senso più particolare – che quindi univa le sue caratteristiche di ricercatore appassionato e artisticamente geniale con quelle di difensore di chi quella terra lavorava, magari senza trarne il necessario sostentamento. E il fatto che sia un frutto rosso aggiungeva anche una simbologia politica basata sulle lotte di classe e non su quelle dei partiti, che spesso criticava e attaccava, con le sue pungenti “Profaziate”, pubblicate per 15 anni da Gazzetta del Sud.

Per la maggior parte degli anni, quei versi ironici, spesso esempio di satira senza sconti, sono passati in redazione tra le mie mani, in genere (erano tempi in cui il computer non esisteva nelle redazioni) veicolate attraverso il materiale proveniente dalla redazione di Reggio Calabria, ma molto spesso portate da lui a mano, fattorino di se stesso, sempre pronto alla battuta. A volte non era facile pubblicare le “Profaziate” perché capitava che, pur essendo evidente che colpivano realisticamente nel segno, bisognava fare i conti con il rischio di querele, mai gradite a nessun giornale. Lui capiva e diceva: «Avete ragione», da buon calabrese usando il voi sia quando ero solo sia quando ero in compagnia.

La costruzione sempre imprevedibile degli eventi della vita mi portò per alcuni anni a fare anche l'editore e due dei libri che pubblicai, insieme con i miei soci, furono dedicati alle “Profaziate”. Il primo, realizzato nel 1990, era intitolato “Le cento e più Profaziate”, il secondo, pubblicato nel 1996, portava il titolo del suo maggiore successo discografico (Disco d'oro nel 1974, cosa mai vista per una canzone folk) “Qua si campa d'aria”. Significativi gli autori delle due prefazioni: lo scrittore Saverio Strati e lo studioso Luigi Lombardi Satriani, firme che certificano chiaramente il valore sia letterario sia scientifico degli studi di demologia che Otello Profazio conduceva sul campo.
Lo incontrai l'ultima volta nel 2016, poco prima che lasciassi Messina per la seconda volta. Venne a casa mia a ritirare le poche copie rimaste dei suoi libri. Dalla mia terrazza a Galati Marina mi indicò di fronte la “sua” Pellaro e commentò: «Guarda, possiamo salutarci a distanza!», Indossava una maglietta con scritto “S’amu jamu... jamu...”, ma il peperoncino era nella tasca dei pantaloni. Ed era felice perché gli avevano appena assegnato il Premio Tenco.
Non si può terminare il ricordo di un artista che ha così ben rappresentato la Calabria, ma anche tutto il Sud, soprattutto Sicilia e Basilicata, senza riportare almeno una parte del testo della sua canzone più nota, “Qua si campa d’aria”. Qui la filosofia è una necessità di sopravvivenza, l'ironia diventa amaro sarcasmo, il sorriso prende la smorfia tragica di una terra abbandonata dallo Stato, considerata più territorio di conquista che parte integrante di uno Stato veramente unitario, negli intenti e nei fatti.
«Il Sud è 'nu paese bellu assai / Il sole è caldo e non si fredda mai /Il mare è azzurro-verde sperlucente / Qui non si vide mai roba inquinante / Siamo genti felici e stracontente / Non abbiamo bisogno mai di niente / Qua si campa d’aria, qua se campa d’aria!
«Il Sud è proprio vero ‘o paradiso / Se vuoi morir devi morir ucciso / O genti, ve lo dico in fede mia / Qui non si sa cos’è la malattia/ E non mi capisco con quale causale / Ogni città ci fanno un ospedale / Tutta roba inutile!
«Il Sud ha un clima che è strabiliante / Bisogni fisiologici: per niente / È al Nord che si beve e che si mangia / E c'è bisogno d’evacuar la pancia / Qui invece, ve lo dico in confidenza / Non la sentiamo, no, quest’esigenza / Qua se campa d’aria, qua se campa d'aria / Se campa d'aria, no?».
Ciao Otello, ti abbiamo voluto bene!

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