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Cosenza, la storia dimenticata d'un crudele serial killer

Archivista investigativo - Francesco Caravetta

Un serial killer. Feroce e dimenticato. L'archivista investigativo Francesco Caravetta - cui tutti molto dobbiamo per le preziose ricerche compiute su decine di crimini avvenuti nel Cosentino nel secolo scorso - ha ricostruito la storia di Domenico Groppa, un omicida seriale resosi responsabile di decine di delitti negli anni 20 del secolo scorso. L'uomo, autore di vere e proprie stragi, uccideva in occasione di furti compiuti all'interno delle abitazioni. «Penetrava negli stabili» spiega lo scrittore autore del libro “Antichi delitti - Terzo volume” «e dopo aver assassinato gli uomini, violentava le donne. Dopo averle possedute le ammazzava e poi fuggiva con la refurtiva». Quest'uomo, di cui non s'era mai sentito parlare, fu arrestato dai carabinieri per caso a Trebisacce. «Groppa era appassionato di chiromanzia ed aveva abbracciato il satanismo tanto che» sottolinea Caravetta «in occasione di un crimine decapita una vittima con l'intento di usare la testa mozzata come cuscino per tre notti e poi mangiarne il cervello. A quel punto, secondo quanto raccontò egli stesso ai carabinieri reali, sarebbe diventato figlio di Satana». Domenico Groppa si è autoaccusato di un centinaio di omicidi ma negli atti giudiziari ritrovati dallo studioso ne sono raccontati solo una trentina. Ad Amendolara venne sterminata una famiglia di sei persone che costò l'arresto a tre persone poi condannate all'ergastolo. Sei persone che, invece, erano innocenti. Groppa, infatti, parla della strage e ne racconta la dinamica nei minimi dettagli assumendosene la esclusiva responsabilità. IL criminale è stato ritenuto colpevole di altre tre stragi compiute a Carpanzano, San Chirico Raparo (Potenza) e Ferrandina (Matera). Il pluriomicida confessa pure un caso di necrofilia compiuto sul cadavere di una ragazza. La ragione di tanta crudeltà? Fu lui stesso a spiegarlo ai carabinieri ed ai giudici di Cosenza. «Venni condannato per un furto mai commesso e quando uscii dal carcere decisi di provocare più dolore possibile alla società». Nel libro c'è poi la storia del bandito Francesco Acciardi, detto “Ciccio e mare mare”, che venne poi portata al cinema con il famoso film “Il brigante della Sila” tratto dal celeberrimo romanzo “Il brigante” di Giuseppe Berto. Attraverso la lettura degli atti processuali, Caravetta ne smitizza la figura romantica.

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