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Manodopera a basso costo, ecco come la 'ndrangheta è entrata nel Settentrione

"Complici e colpevoli. Come il Nord ha aperto le porte alla 'ndrangheta" è il nuovo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

L'invasione del Settentrione d'Italia. Avviata dai boss della 'ndrangheta negli anni 50 del secolo scorso e diabolicamente proseguita nei decenni successivi attraverso una silente strategia di tessitura di rapporti con l'imprenditoria e la politica. E' questo il tema dell'ultimo libro firmato da Nicola Gratteri, uno dei magistrati italiani più conosciuti nel mondo e da quarant'anni in prima linea nella lotta alla mafia calabrese, e da Antonio Nicaso, scrittore e docente universitario in Canada e negli Stati Uniti, considerato uno dei massimi studiosi mondiali di storia delle varie forme di criminalità organizzata. Il volume, edito dalla Mondadori (168 pagine) s'intitola: "Complici e colpevoli. Come il Nord ha aperto le porte alla 'ndrangheta".

Il professore Nicaso, spiega alla Gazzetta: <Abbiamo deciso di scrivere questo testo per sgombrare finalmente il campo dalla cosiddetta metafora del contagio. Esaminando sentenze e rapporti di polizia giudiziaria intendiamo infatti dimostrare che non fu l'invio in Settentrione dei boss mafiosi in soggiorno obbligato a generare il rapporto con l'area industrialmente ed economicamente più forte del Paese. Fu, al contrario, il rapporto con l'imprenditoria, soprattutto quella specializzata nell'edilizia, a favorire l'ingresso dei capibastone calabresi nel tessuto economico del Nord. Gli 'ndranghetisti, come un tempo era stato nel Nord America (Usa e Canada) offrirono manodopera a basso costo, sfruttata e non sindacalizzata agli imprenditori locali che non la rifiutarono>. Comincia dunque in nome degli "affari" la lenta e sistematica invasione delle regioni settentrionali da parte delle cosche calabre arrivate, con il trascorrere del tempo, a contare così tanto da determinare gli scioglimenti di consigli comunali per infiltrazioni mafiose in Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna. <Leggendo con attenzione i documenti giudiziari> sottolinea Antonio Nicaso <si ha traccia della presenza in Liguria delle 'ndrine già nei primi anni 50, quando da Genova venne fatto espatriare verso gli Stati Uniti, Angelo Macrì, detto la "belva dell'Aspromonte", che a Delianuova, in provincia di Reggio Calabria aveva assassinato a colpi di pistola un maresciallo dei carabinieri. E sempre in quegli anni lontani pure in Lombardia compariva l'ombra dei primi "locali" di 'ndrangheta. In Piemonte, già negli anni 70, fu Pio La Torre a denunciare pubblicamente il racket delle braccia governato dalle consorterie calabre. Persino in Veneto, nei primi anni 80 si registrano le presenze ingombranti e pericolosi di boss e picciotti e, prim'ancora in Valle d'Aosta. Oggi> continua lo studioso <in Settentrione operano stabilmente 46 "locali" di 'ndrangheta>.

Ma qual è la strategia economica scelta dai malavitosi originari del tratto d'Italia compreso tra la Sila e l'Aspromonte per entrare in relazione con l'imprenditoria e la politica? <Offrire i servizi di trasporto di inerti, la manodopera a poco prezzo e la capacità di risolvere celermente ogni controversia con la violenza. Non solo: per  relazionarsi con il mondo politico, i boss hanno lasciato intendere di essere in grado pure di controllare il voto della comunità di emigrati che tenevano soggiogata ed ai cui componenti offrivano comunque occasioni di lavoro seppur con paghe da fame. E mentre si sviluppava sempre più questo schema collusivo le comunità settentrionali italiane sottovalutavano il fenomeno richiamandosi alla presenza di "anticorpi" in grado di espungere ogni tentativo di infiltrazione. Così, invece, non era. Perché gli "anticorpi" economici avevano nel frattempo smesso di funzionare per volontà di una imprenditoria tesa a massimizzare i profitti e minimizzare i costi proprio attraverso il legame intessuto con i clan calabresi>. Ma il dato sociale e giudiziario contenuto nel libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso che più colpisce è <l'omertà> registrata dai magistrati inquirenti che hanno istruito inchieste contro la 'ndrangheta al Nord.

<Non c'è stato un imprenditore> precisa il professore Nicaso <che sia andato a testimoniare la propria connivenza con i boss. Una connivenza spesso nascosta dietro sistemi contabili artefatti. Si può pertanto affermare che i boss in Settentrione non si siano infiltrati ma siano stati "invitati" a concludere affari>. Il libro di Gratteri e Nicaso conferma un assunto indiscutibile: le mafie crescono grazie alla legittimazione delle classi dirigenti e quella calabrese, nell'area settentrionale della Penisola, è cresciuta a dismisura. Di più: gli 'ndranghetisti non solo uccisero negli anni 80 il procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, ma attentarono con un'autobomba alla vita di un altro magistrato. Si chiamava Giovanni Selis e stava indagando sul casinò di Saint Vincent nel quale si sospettava che i boss calabresi riciclassero, facendo illegalmente i "cambisti", il denaro provento dei sequestri di persona. Selis sopravvisse all'attentato e la vicenda venne dimenticata troppo in fretta.

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