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Un instant book, dieci voci e un grande sogno comune: la Calabria che resiste

A raccolta esperienze, storie e visioni "per riscrivere il presente". Cominciando dalla narrazione del territorio

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Un caminetto scoppiettante e una buona connessione internet. Questi gli ingredienti della migliore scenografia auspicabile per gustarsi l’instant book “La Calabria che riparte. Esperienze, storie, sogni e visioni per riscrivere il presente”. Un condensato di “yes, we can” in profumo calabrese da leggere tutto d’un fiato specie ora che siamo nuovamente a un passo dalle elezioni regionali. L’opera è il frutto di un lavoro di ricerca realizzato nel giro di un mese dai redattori di “Vita a sud”, il progetto editoriale – costola del settimanale Vita – sostenuto da “Fondazione con il Sud” per raccontare il Meridione partendo dal sociale ed evitando i luoghi comuni di una narrazione tanto stantia quanto inutile per chi la fa e per chi l’ascolta.

Dio solo sa quanto questa sgangherata terra, tradita da uomini, politici e Stato – e sotto i riflettori per molti giorni, nell’ultimo scorcio dello scorso 2020 – , abbia bisogno di nuovi motivi di speranza capaci di tirarla fuori da stereotipi circolari e circolanti. Nelle settanta pagine facilmente (e gratuitamente) scaricabili dal portale “Vita.it” la speranza è declinata con il canto di dieci persone in carne e ossa che dall’Alto Cosentino al Basso Ionio Reggino innovano, producono e arricchiscono la cultura, l’economia e la società del Paese: l’antropologo Vito Teti; la bancaria Marina Galati; l’imprenditore sociale Vincenzo Linarello; la magistrata Gabriella Reillo; il giornalista Giovanni Tizian; l’imprenditrice Pina Amarelli; il sacerdote Giacomo Panizza; l’ingegnera Irene Colosimo; il biologo Silvio Greco; la giornalista Geneviève Makaping.

Come è d’uso in tempi pandemici la presentazione dell’ebook è avvenuta in diretta sul proscenio virtuale di Facebook. Il lavoro è stato presentato dal direttore di Vita Stefano Arduini che ha ricordato come la ricerca sia nata durante «lo scoperchiamento del disastro della sanità calabrese» e a seguito di un pezzo molto crudo sulla Calabria scritto dal giornalista reggino Giuseppe Smorto. Proprio Smorto, già vicedirettore di Repubblica, ha scritto l’introduzione del book e ha guidato le riflessioni degli ospiti: «Tutti noi parliamo la stessa lingua e non mi riferisco ai dialetti calabresi: è la voglia di riscatto e di una nuova etica basata su un futuro di crescita, di solidarietà e di attenzione verso le fasce più fragili».
Sono intervenuti alcuni dei protagonisti (Vito Teti, Pina Amarelli, Giacomo Panizza e Vincenzo Linarello) insieme a chi ha materialmente redatto l’opera: le redattrici di Vita a Sud Maria Pia Tucci e Anna Spena e un osservatore di riguardo, il professore Domenico Mammola, docente dell’Itis “Conte Milano” di Polistena.

Se come ammoniva Corrado Alvaro e come ha ricordato il professore Teti «i calabresi vogliono essere parlati», i racconti e le esperienze che si sono articolate sul social sono quanto di più distante si possa immaginare dal livello di comunicazione medio del social creato da Mark Zuckerberg. Parole alte e ponderate, frutto di esperienze concrete antichissime come quella della dinastia Amarelli, che a Rossano produce liquirizia da tre secoli, o di don Giacomo Panizza, che con la sua comunità di Lamezia Terme formata da ragazzi disabili e no fa saltare i nervi a più di una cosca di ‘ndrina. Dieci storie per rispondere a una domanda: quanto sappiamo della Calabria?

La nostra è una «regione plurale» come l’ha definita il professore Teti per marcare la molteplicità di anime e identità coesistenti e spesso reciprocamente «sconoscenti». Per Maria Pia Tucci (Vita a Sud) «abbiamo bisogno che la narrazione cambi» per mettere a sistema questa molteplicità di buone prassi. Da qui lo svolgimento «corale» del lavoro giornalistico zcome corale è la redazione diffusa di Vita a Sud». E infine un auspicio: «Io mi auguro che questa Calabria del fare sia il gancio di una Calabria che continua a ripartire da ciò che è e ciò che sa».

Aggiunge la collega Anna Spena: «Quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto ci siamo impegnati a trovare 10 voci. Man mano che andavamo avanti ci siamo accorti che il target di 20, 30 o 40 persone sarebbe stato altrettanto facilmente raggiungibile». Si trattava di «esperienze straordinarie ma non uniche».

Tornando a Vito Teti, uno dei massimi studiosi italiani e internazionali di antropologia, il professore ha evidenziato che sia “Vita” che l’instant book sono caduti in un momento cruciale per la Calabria: «Negli ultimi tempi abbiamo battuto il record negativo con la sovraesposizione per le cose negative e sottoesposizione per le cose positive. Le narrazioni sia esterne che interne non sono indifferenti per i destini della Calabria». Narrare la regione in modo diverso serve a cambiare la Calabria stessa: «A furia di dire che si fanno delle cose belle e positive qualcuno comincerà a crederci», confutando lo stereotipo della Calabria pigra.

Teti ha nel cuore «una Calabria dell’anima» da trovare nei paesi interni, cerniera tra il mare e la montagna: «Puntare sulle aree interne predilette dal turismo intelligente può essere uno dei tanti punti di partenza per scoprire il rapporto con le marine e soprattutto le nostre interiorità e le nostre ombre perché se non riconosciamo quelle non riusciamo a raggiungere le luci».

Lo sa bene Vincenzo Linarello (presidente del Consorzio Goel): «Oggi l’obiettivo più importante è quello di liberare le energie e la creatività dei calabresi». Liberare da cosa? Dal sistema di potere che ha tenuto in mano la Calabria con una politica servile e miope – oltre a tutte le forze oscure in campo, dalla ‘ndrangheta alla massoneria – che hanno creato una mentalità per cui «i posti di responsabilità sono visti come elargizioni ignorando la responsabilità che ogni attribuzione porta». Oggi per innescare un processo di cambiamento e di riscatto si deve elaborare una strategia complessiva con processi di coesione, integrazione e valorizzazione del merito: «No alle ricette magiche monodimensionali».
E ancora, come dice Don Giacomo Panizza, è una questione di autocoscienza: «Noi del Terzo Settore siamo la società. Non possiamo venire dopo quelli che votiamo».

L’imprenditrice Pina Amarelli, prima cavaliera della Calabria, parla dell’importanza delle Università. La sua azienda fra 11 anni raggiungerà il traguardo di ben 3 secoli di vita: «Io sono una delle poche immigrate in Calabria. 50 anni fa ho avuto l’impressione di una comunità bella dal punto di vista dei valori ma ancora indietro. Con le università è cambiato il volto della Calabria. Credo che ci sia un’etica di fondo che bisogna fare emergere dal cattivo racconto». E mentre la luce antica continua a brillare nel camino si ricarica l’entusiasmo per una Calabria 4.0 possibile: smart e innovativa. E soprattutto consapevole.

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