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La Calabria, il cinema, la tv: una strategia per lavoratori e produzioni

Non solo i ricordi, con risvolti sempre di piena attualità, della Calabria Film Commission (pur se il vecchio detto «la lingua batte dove il dente duole» è di perfetta efficacia), ma anche una nuova battaglia. E – ci sarebbe bisogno di dirlo? – l’avversario, in senso tecnico s’intende, è la Regione Calabria. Pino Citrigno, oltre a essere presidente dell’Anec Calabria (l’associazione degli esercenti cinematografici), lo è anche di Unindustria Cinema, sezione di Confindustria.

«Ma – scalpita – abbiamo allargato il settore: adesso si chiama “Unindustria Cinema e Spettacolo dal vivo” e pochi giorni fa abbiamo formulato la richiesta urgente di un tavolo di lavoro alla Regione, vista la perdurante emergenza sanitaria e la totale impossibilità di operare per un numero di lavoratori che io calcolo fra le 500 e le mille unità».

Non ci sono stati i ristori sia per i cinematografi sia per i lavoratori dello spettacolo in genere?

«Questo è vero solo in parte. Per esempio, in qualche maniera noi esercenti abbiamo sostegni che ci consentono di tenere duro e immaginare un futuro. Anche se, per chi come me è stato allevato a “pane e cinema”, pensare alle sale chiuse a Natale, cioè nel periodo più tradizionale con le famiglie tutte insieme sedute in poltrona, il cuore si stringe. Vedo l’immagine degli schermi al buio e provo una sensazione orribile. Ma c’è chi sta peggio di noi, cioè gente che non ha avuto nulla né dallo Stato né dalla Regione. Mi riferisco a tutte le maestranze tecniche e artistiche, abitualmente impegnate nei teatri e nei concerti, il cosiddetto spettacolo dal vivo. Per un complesso di regole, che non sembrano tener conto come ci sia gente che passa da un contratto a termine a un altro, da un impegno saltuario a un altro, i cosiddetti ristori non sono entrati nelle loro tasche. Faccio un esempio che mi riguarda. Insieme con altri sto producendo lo spettacolo teatrale “Follia Macbeth vs Romeo e Gulietta”, regia di Max Mazzotta, interpretato dalla messinese Stella Egitto e da Lorenzo Richelmy. Abbiamo dovuto sospendere le prove e quindi tutto il cast, tecnico e artistico, è senza lavoro, né sappiamo quando sarà possibile riprendere. Questo vale per molte persone che in un anno, fra un impegno e l’altro, mettono insieme almeno dieci mesi di lavoro e vivono dignitosamente. Guardi che in Calabria ci sono compagnie teatrali di importanza nazionale e a loro sono legati tanti contratti a termine di attori e tecnici».

Sicuramente! Penso a “Scena verticale” di Castrovillari, fondata da Saverio La Ruina e Dario De Luca, o a “Mana Chuma” di Reggio, diretto da Massimo Barilla, o al Centro Rat del Teatro dell’Acquario di Cosenza, e tanto altro ancora. In più la gestione dei grandi concerti. Dietro di loro una piccola folla di gente in grande difficoltà. Cosa proponete?

«Dobbiamo partire da un documento forte di tutte queste categorie. Alla Regione chiediamo un fondo straordinario immediato e, dopo, bandi triennali, un po’ come fece a suo tempo Oliverio, per consentire di riprogrammare. Il teatro è allo sbando, deve sapere che cosa c’è al di là del tunnel».

Scusi, però, la giunta è sostanzialmente provvisoria in attesa di nuove elezioni…

«Data l’emergenza, non si sa quando ci saranno le elezioni, potrebbero slittare anche a maggio. E che si fa? Si aspetta? Occorre subito un’operazione di grande volontà politica e una volta tanto la Calabria potrebbe essere l’apripista, prima di Veneto e Lazio che hanno allo studio progetti analoghi. Se ci fanno sedere a un tavolo, potremmo dire che in Confindustria abbiamo collaboratori capaci e veloci che potremmo mettere a disposizione del presidente Nino Spirlì e dell’assessore al Lavoro, Sviluppo economico e Turismo, Fausto Orsomarso».

Finora che risposte arrivano?

«Mi son sentito dire: è gente che ha un secondo lavoro. Inaudito! Sotto un’apparente verità, non si vogliono vedere persone che non lavorano dall’8 marzo scorso e prima di febbraio non c’è alcuna speranza di riprendere. Il codice Ateco dello spettacolo è stato ignorato in Calabria. Come fanno a vivere? Ce lo spieghino».

Forse la Regione non ha i fondi.

«Sono convinto che per un intervento di questo tipo ci siano. E sa che le dico: non paghiamo il corto di Muccino e usiamo quell’importo».

Calma, calma, Muccino ha un contratto: vuol fare demagogia?

«Parlo sul serio. Il corto non è piaciuto a nessuno, forse neppure al suo regista che lo ha oscurato dal suo sito dopo averlo inserito. Poi per la sua durata non è facilmente utilizzabile, ci vorrebbe piuttosto uno spot, realizzato dopo un regolare bando. Allora si potrebbe dire a Muccino: ti paghiamo le spese che hai sostenuto e non se ne parla più. Magari lui sarebbe contento di fare il bel gesto».

Dica la verità, Citrigno: trattando questi argomenti, lei pensa alla “sua” Calabria Film Commission?

«Sì e no. Io accetto l’idea del ricambio ai vertici, ma quello che sta succedendo non mi piace per nulla. Non mi piace il “balletto” tra Minoli e Spirlì: mi dimetto da commissario, non accetto le dimissioni, le mantengo ma ci dobbiamo incontrare perché voglio essere sicuro che posso portare avanti il mio programma produttivo. Lo trovo assurdo».

Perché? Sembra normale che Minoli voglia programmare le sue soap tv. Non era stato ingaggiato per questo?

«Lo sa che ci sono una serie di rendicontazioni da controllare? Che ci sono film già usciti nella sale, che aspettano di riscuotere il loro legittimo contributo? Faccio qualche esempio: “Aspromonte” di Mimmo Calopresti e “Padrenostro” di Claudio Noce, che ha portato alla Calabria Film Commission un premio internazionale come la Coppa Volpi assegnata a Favino. Ma l’elenco di coloro che aspettano, tra film in uscita e altri girati subito dopo il lockdown è lungo. Minoli adesso si dovrebbe occupare di questo».

Forse non ha i collaboratori giusti.

«A parte alcuni che stanno a Roma e non conoscono bene la Calabria, c’è Gianvito Casadonte direttore artistico, che opera sul territorio e conosce tutto. Inoltre la Commission ha due dirigenti amministrativi bravi e collaborativi, come raramente ho visto in Regione. Quindi operi sul presente».

Guardi che lei aveva detto che Minoli sarebbe stato un valore aggiunto.

«Lo confermo, a condizione però che non si occupi solo di “Un posto al sole” alla calabrese. Se davvero ragionasse così, allora ricorderei che a suo tempo lanciò “Agrodolce” in Sicilia, che fu un clamoroso flop. Anche lui può sbagliare. Ora deve seguire i “nostri” film che vanno ai festival importanti e devono essere accompagnati da qualcuno della Fondazione, a cominciare da “Regina” del regista calabrese Alessandro Grande, unico film italiano in concorso al Torino Film Festival, e da “Il buco” di Michelangelo Frammartino, in lizza per il Festival di Berlino. Intanto il cortometraggio “Inverno” di Giulio Mastromauro (coprodotto anche dalla calabrese Indaco Film), già premiato con il David di Donatello, è in corsa per le nomination all’Oscar. E poi, visto che ci siamo, vorrei ricordargli un’altra cosa. La Calabria Film Commission ha già lavorato con quattro fiction Rai: “Liberi di scegliere” di Giacomo Campiotti e “Come una madre” con Vanessa Incontrada, trasmesse da Raiuno, e “Lo squadrone” in onda su Raidue. Più “Riace”, sulla storia di Mimmo Lucano, interpretato da Giuseppe Fiorello, che è rimasta in stand by dopo le vicende giudiziarie. Voglio dire che conoscevamo già l’indirizzo della Rai».

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