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Il drago d’Aspromonte in una favolosa non-favola

«Voi bianchi siete perduti, voi non potete capire la terra, troppe domande stupide (…) voi non avete un senso, non avete uno scopo, una direzione». Questa è la sentenza che Miliritbi, l’aborigeno australiano del film “Dove sognano le formiche verdi” di Werner Herzog, lancia agli uomini che abitano l’Occidente. Da qui voglio iniziare per parlare de “L’ultimo drago di Aspromonte” di Gioacchino Criaco, con i disegni magistrali di Vincenzo Filosa. Infatti sembra proprio che Nì, il protagonista del libro, prenda spunto dalle parole di Miliritbi. Come se volesse scardinare il suo essere fuori dalla terra, e rientrarci da qualche porta segreta. Un luogo remoto che è disegnato sulle mappe delle infanzie neolitiche.

Ma a lui, a Nì, in qualche modo la cosa riesce. Inizia a capire la terra. E non è una terra qualsiasi, un’autostrada di polvere e bestemmie, è l’Aspromonte. Un posto che ne nasconde migliaia. Che parla altre lingue e produce altri sospiri, che racchiude ed uccide. È come ritrovarsi all’inizio di una nuova scuola, un insegnamento per diventare uomini, per inseguire non solo la felicità, ma la variabile onda del senso. A questo si affida Nì, ad una vita significativa. Che abbia una matrice archeologica e una lingua sconosciuta, ma che lui riesce a cogliere.

Qui siamo nel cuore del mondo, sembra dire il protagonista, e se voi non riuscirete ad addentrarvi con le vostre scarpe piene di tacchi per questi sentieri, sarete perduti per sempre. Questa intuizione del discorso della terra, della comunicativa genetica e rudimentale, lega, paradossalmente, lo scrittore nato in Aspromonte con il regista di Monaco, come se, in effetti, parlassero un linguaggio dimenticato da secoli, ma che risuona leggero e fiondante come una freccia apache.

Un paradosso che diventa reale. La voce degli alberi è delle piante è come un sentimento profondo che indica una strada a chi la sa ascoltare. Allora il lettore rimane incantato da tanta sublime imprudenza e lo segue. Segue Ní, segue il porco-sindaco, lo tallona nel suo amorevole delirio. Perché questo inseguire è incomprensibilmente salvifico. Anche i giorni che si susseguono senza indicazioni numeriche sembrano allontanarsi dalla normale interpretazione del tempo. Diventano un giorno unico in cui il protagonista emerge ed affonda, si perde e si ritrova, come in vortice quasi benefico. Che viene esaltato dai disegni di Vincenzo Filosa che sa cogliere straniamento e immobilità, forza d'animo e draghi di pietra. È in queste figure, poco compromesse con la vita dei canoni sociali, che noi intravvediamo una probabilità di esistere, anche se solo come ombre, come scriveva Stendhal nel suo “Vita di Henry Brulard”: «Je ne puis pas donner la réalité des faits, je n'en puis présenter que l'ombre». L’ombra gigantesca di Nì e dell’Aspromonte. Vi prego, leggetelo.

Il libro

Gioacchino Criaco

L’ultimo drago d’Aspromonte

Rizzoli Lizard pagine 192, euro 18

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