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Stiamo finalmente tornando a casa

Africo: il giro delle strade arriva qui, dove le vecchie idee svaniscono e iniziano le visioni. Voci, ghiri, tormenti, pace, parole al vento a cui il vento risponde, microfoni accesi, capre. Siamo arrivati per il terzo anno al pianoro delle querce – il centro del mondo come dice Gioacchino Criaco – e appena scesi non c'è stato altro che riconciliazione. Con noi stessi, con le idee vulnerabili ma possibili, con quello sguardo che significa finalmente qualcosa, che non si perde eccessivamente, con i discorsi angolari.

Abbiamo usato le orecchie, soprattutto, tanto che sembravamo tutti ragazzi ancora innamorati dei racconti. Non era tanto il contenuto ma l'espressione del contenuto che ci ha colti e ci ha fatto ricordare il nostro luogo, quel posto che amiamo pensare nostro. Ascoltando l'archeologo Francesco Cuteri che indica un sentiero estetico, antico e lineare come la stella polare, noi abbiamo sentito una certezza insinuarsi nel cuore. O quando Gioacchino Criaco ha raccontato episodi di piccola resistenza civile che hanno portato grandi risultati, la nostra debolezza di fronte alla dislessia del mondo ha ricevuto un duro colpo.

Non siamo poi così friabili, ci siamo detti, o così pavidi. Diamo questo merito ai ragazzi di Africo che ci hanno rimesso la terra sotto i piedi. Nessuno dovrebbe perdere queste giornate che hanno la qualità, troppo spesso dimenticata, della resistenza. A cosa? Allo sguardo funzionale, ai flussi finanziari che diventano flussi sociali, all'ignavia dei nostri pensieri, alla nostra stanzialità emotiva.

Sto sempre tornando a casa, scriveva Novalis. E noi ad Africo siamo finalmente tornati a casa.

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