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Virus, batteri, guerre e pandemie: ecco la narrativa da brivido

Cosa c'è di più subdolo di un batterio, un parassita, un virus? Se gli scudi missilistici possono avvertici in tempo - teoricamente - contro un attacco nucleare, cosa può metterci al riparo dagli agenti patogeni? Contro le armi da fuoco possiamo appellarci alla tecnica, dal kevlar alle placche di ceramica, ma non abbiamo contromisure adatte ad elementi dalle dimensioni infinitesimali, in grado di piegare le nostre resistenze tramite il semplice contatto o per via aerea.

Il coronavirus - Covid19 - dalla Cina si è spinto in tutto il mondo e giocoforza, mentre le città vengono transennate e si scatena la paura, tornano in mente gli scenari del romanzo apocalittico a tema pandemico; del resto, sul tema della paura Hollywood sforna almeno un blockbuster l'anno (da “Contagion” a “World War Z”) e le serie tv di successo abbondano (come “The Walking Dead” e “The Race”), ambientazioni di finzione che traggono ispirazione dalla zona grigia della sperimentazione scientifica: la nostra società si regge sul diritto ma dinanzi alla lotta per la sopravvivenza, all'homo homini lupus, cosa saremmo disposti a fare per metterci in salvo? In che punto le nostre certezze cedono il passo all'egoismo?

Il primo romanzo apocalittico che vi proponiamo è datato 1826 e l'ha scritto una grande donna: Mary Shelley (ma in Italia giunse solo nel 1996). Ne L'ultimo uomo (Giunti, tr. M. Melchiorri) la creatrice di Frankenstein racconta la fine dell'umanità a causa di una massiccia ed incontrollabile epidemia di peste che non lascia scampo.

Intanto Mondadori, con un tempismo involontario, ha appena ripubblicato un altro grande classico, La nube purpurea di Matthew Phis Shiel (Mondadori, tr. D. De Boni). Datato 1901, aprirà un grande filone, puntando sui risvolti negativi della fame di conoscenza; sarà l'atto di sfida di un giovane ricercatore contro le leggi della Natura a generare una nube purpurea che cancellerà la popolazione mondiale, lasciandolo come unico e dannato sopravvissuto, destinato alla follia.

Ma il last man alone per eccellenza della narrativa è datato 1954, Io sono leggenda (Fanucci, tr. S. Fefè) di Richard Matheson ovvero la storia di Robert Neville che tenterà di trovare la cura contro un virus che ha mutato la popolazione terrestre in branchi di feroci predatori. Il risultato sarà un compromesso fra le parti ovvero una nuova umanità, contagiata solo in parte, davanti alla quale Robert - immune al virus e cacciatore di vampiri - è considerato un reietto da punire con severità.

Anche Jack London, proprio l'autore de “Il richiamo della foresta”, firma nel 1912 un capolavoro del genere apocalittico, La peste scarlatta (Adelphi, tr. O. Fatica), che porta l'azione nel 2013, riscostruendo a posteriori un temibile morbo rosso che ha eliminato gran parte della popolazione umana.

Una traccia ripresa da diversi autori fra cui, in epoca recente, il premio Pulitzer Cormac McCarthy nel celebre La Strada (Einaudi, tr. M. Testa). In questo romanzo (divenuto anche un film di successo) al centro della scena, dopo un'apocalisse nucleare, c'è l'intenso rapporto padre-figli impegnati in un viaggio a piedi, in cerca di un'improbabile via di fuga dall'inverno nel cuore degli Stati Uniti. Si evoca uno scenario da età della pietra con l'azzeramento della tecnologia, spingendo la tensione sino al cannibalismo mentre la notte incombe recando con sé tutte le nostre paure ancestrali.

Del resto, i romanzi di questo genere ci contrappongono a Madre Natura che miete le sue vittime in modo freddo ed efficiente, quasi a voler ribadire la futilità della nostra specie e il re del brivido, Stephen King non poteva mancare all'appuntamento. Ricordiamo Cell (Sperling&Kupfer, tr. T. Dobner) e ovviamente L'ombra dello scorpione (Bompiani, tr. B. Amato, A. Dell'Orto) con un'epica lotta del Bene contro le forze del Male dopo che un virus ha mietuto il 99% dell'umanità, diffuso dall'incoscienza di uomo e dall'errore di un computer. E come sempre gli incubi di King fanno paura perché sembrano dannatamente concreti.

Ken Follett, nell'adrenalinico Nel bianco (Mondadori, tr. A. Raffo), sposta lo sguardo sull'avidità umana visto che al centro dell'intreccio c'è la caccia all'antidoto del Madoba-2, una variante del virus Ebola, sottratto da un laboratorio a Glasgow e finito sul mercato nero, al miglior offerente.

Non possono mancare i morti viventi, gli zombie, grandi antagonisti nel bellissimo Zona uno del Premio Pulitzer Colson Whitehead (Einaudi, tr. P. Brusasco), con una pandemia che spacca in due la Terra, contesa fra i vivi e i morti viventi.
E ancora, il campione di vendite Dan Brown che in Inferno (Mondadori, tr. N. Lamberti, A. Raffo, R. Scarabelli) racconta una lotta contro il tempo per il professor Langdon, consegnando nelle mani di un magnate, fanatico ed ambientalista, un virus destinato a sterminare la metà della popolazione. Tutto ciò, affinché perché il mondo possa sopravvivere al morbo più pericoloso, l'umanità stessa. Sì, proprio noi.

Infine, sfogliando The Eyes of Darkness del romanziere Dean Koontz, salta fuori una previsione sbalorditiva. Scritto nel 1981, inedito in Italia, si parla del virus «Wuhan-400, un'arma letale (…) creata nel 2020, una grave polmonite che si diffonderà in tutto il mondo (…) in grado di resistere a tutte le cure conosciute».

Inizialmente il virus si chiamava diversamente - Gorki400 - ma dal 1989, con la fine della Guerra Fredda, Koontz l'ha ribattezzato Wuhan400 aggiornandolo in chiave cinese. È finzione, d'accordo, ma fa paura lo stesso e grazie al web il titolo è tornato, balzando in cima alle classifiche di vendita.

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