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Cultura, Eduardo Boncinelli: "Il nostro obbligo è usare la ragione"

In un mondo che alza sempre più muri e definisce confini, i virus oltrepassano tutto, ristabilendo una sorta di “democrazia” delle malattie. E della paura, quella paura liquida - come la chiamava Zygmunt Bauman - , diffusa, strisciante, legata alla dimensione della precarietà e dell'incertezza e rivolta verso lo straniero, verso le malattie, verso i cataclismi, verso i presunti complotti, insomma, verso il “nemico”.

Ne abbiamo parlato con Edoardo Boncinelli, fisico, biologo, genetista, già docente all'Università Vita-Salute di Milano, oltre che musicista, pittore, grecista, autore di numerosi saggi scientifici divulgativi sul cervello e sulla mente, sulle idee e sull'anima. Da laico che crede nella coscienza e sostiene l'etica della responsabilità, e che considera le neuroscienze insieme alla medicina, di pari passo con l'informatica, la sfida del nostro millennio, senza dimenticare gli studi umanistici (rendere in italiano i versi di Eschilo, citare Dante o studiare l'attività delle cellule ha per lui l'identico fascino), ha praticato l'arte di vivere e la scienza per vivere.

Anche quando la salute lo ha abbandonato, come in questi ultimi tre anni, di cui dà conto, con la lucida testimonianza di chi è abituato a osservare il reale, nel suo ultimo volume, in libreria da domani con il titolo “Essere vivi e basta. Cronache dal limite” (Guanda), denso di tanti spunti “vitali” per tutti.

Professore, i nostri tempi sembrano sempre più assediati dalla paura, a dispetto del progresso e della tecnologia. Come mai? È l'incertezza endemica del futuro?

«Non è facile rispondere a questa domanda, dato che negli ultimi 6000 anni se la sono posta in tanti. Prima di tutto bisogna ricordarsi che la paura è una pessima consigliera. E di questo bisogna preoccuparsi. Quel che è veramente cambiato nella storia del mondo e su cui bisogna riflettere, è che mai siamo stati così tanti sul pianeta e mai così tanti anziani. Sono dati oggettivi cui bisogna aggiungere un altro fatto e cioè che la quantità di conoscenze di cui disponiamo oggi e la facilità con cui possiamo ottenerle grazie alla tecnologia, non ha eguali nel tempo; sappiamo tante più cose sulla salute, mai siamo stati così attenti alla nostra salute, anche se, come si dice ironicamente, non “siamo stati mai malati come oggi”. In poche parole, siamo abituati male, cioè troppo bene. Eppure abbiamo paura. E ciò avviene perché non siamo sassi o insetti sociali, siamo umani con il privilegio di possedere questo dissidio interno tra ragione ed emozioni. La ragione ci serve per risolvere i problemi, le emozioni per farci vivere. Ci piace avere emozioni, quindi, paradossalmente, ci piace avere paura».

Vuole dire che oggi abbiamo paura maggiore delle malattie perché ne sappiamo di più?

«Esattamente. Temiamo l'alzheimer, temiamo la depressione, ma chi è venuto prima di noi non conosceva né l'una né l'altra. Le paure vanno certamente messe in prospettiva storica».

Eppure c'è una paura di cui quasi si tace, quella della morte.

«Abbiamo espunto dalla nostra vita la morte come se non esistesse. La verità è che oggi si “muore di meno” e spesso si muore “di nascosto”, negli ospedali o nelle case di cura. Ecco che dunque le condizioni per “dimenticarsi” della morte ci sono, ma la paura della morte, al di là di tutte le strategie per “dimenticarla”, risulta alla fine ineludibile. Dobbiamo congratularci con noi stessi se viviamo in questo tempo, con tutto quello che abbiamo a disposizione. Ma l'uomo non si accontenta mai, guarda sempre a come potrebbe stare meglio, magari rimpiangendo illusoriamente un passato in cui mancavano tante cose e si moriva facilmente e “normalmente” da bambini e da giovani».

Una delle paure che agitano il nostro tempo è quella dell'altro, identificata, spesso, nel migrante. Zygmunt Bauman riteneva che temiamo il migrante che è in noi, quello che potremmo essere. Cosa ne pensa, professore?

«Con tutto il rispetto per Bauman, io penso che in qualunque tempo e in qualunque territorio l'uomo si è costruito il nemico, a ragione o a torto, che fosse straniero, invasore, colonizzatore. L'uomo ha necessità di mobilitarsi, di sospettare, di stare in guardia, l'uomo ha “bisogno” di avere un nemico. È il suo istinto animale. E allora aggredisce. Poi, con la ragione si trova il giusto equilibrio e si pratica l'altruismo, il volontariato, anche se talora si eccede in buonismo. Ecco, bisognerebbe trovare il giusto equilibrio tra espressioni troppo crude e espressioni ipocrite. La paura o lo stress ci fanno inventare i “nemici” o i “colpevoli”. L'uomo cerca di capire il mondo ma vuole trovare il colpevole, anche quando il colpevole non c'è».

Professore, da scienziato cosa pensa della paura del contagio?

«Guardi, i nostri antenati non si rendevano conto che cosa fosse il contagio. Si dava la “colpa” agli dei o agli untori del momento. Quando la scienza è diventata metodo e studio sperimentale si è compreso cosa fosse il contagio. I contagi esistono ma si possono controllare. Ed è inutile disperarsi, diffondere allarmismi senza mettere in atto le misure per combatterli o contenerli. Si muore ogni giorno per malattie resistenti alla ricerca medica, ma magari non se ne parla in maniera allarmistica. Però l'essere umano ha sempre bisogno di tenersi sulla corda: e se da un lato questo spinge al progresso, dall'altro deprime e stressa l'uomo con la paura. Se però, di contagio vogliamo ancora parlare, uno molto pericoloso è quello dell'ignoranza, e un altro è quello che deriva dall'uso sbagliato delle parole. Dovremmo vaccinarci tutti, oltre che con i vaccini reali anche con quelli contro l'ignoranza e contro certi linguaggi».

E c'è poi la paura che abbiamo della Natura...

«Il nostro pianeta è diventato piccolo e non c'è dubbio che per la prima volta nella storia della sua esistenza cominci a soffrire. I problemi reali ci sono, soprattutto quelli relativi al cambiamento climatico, anche se altri sono coperti da mitologie per creare allarmismi. Ed è sempre l'uomo che causa i guasti. Chi può dare indicazioni sono gli scienziati ma l'uomo spesso non vuole credere, non vuole vedere le cose dal punto di vista statistico. Così, ogni volta che c'è uno stato di tensione si innesca la paura e prevale l'irrazionalità, che in fondo è uno stato di vacanza, perché il lavoro lo fa la ragione. Lo ripeto, siamo abituati male. E andando avanti così, finiremo per perdere».

Quale può essere la strategia contro la paura?

«Bisogna dire che alcune paure salvano pure la vita perché ci spingono a essere prudenti, a prendere delle misure, ma la paura in sé è sempre un male, un modo distorto di vedere le cose, e non si può spegnerla. Cosa fare? Tirare il fiato, rimanere in apnea, per così dire, e usare la ragione».

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