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Oggi la Storia passa da lì da quelle rughe... Colloquio con lo scrittore Carmine Abate

Carmine Abate

Chissà se in quelle rughe ci sono le risposte che chiediamo al nostro inquieto presente, al nostro mondo che ci fa paura. Chissà se in quelle rughe sono custodite, assieme alle gioie e ai dolori trascorsi (che affratellano tutti gli individui, tutti i popoli), anche le parole che ci servono, di cui abbiamo bisogno. Le parole che continuiamo a chiedere alla letteratura. “Le rughe del sorriso” sono quelle del titolo del nuovo romanzo di Carmine Abate – in libreria da oggi con Mondadori – , calabrese di Carfizzi ma cittadino d’Europa, una delle voci più intense e importanti della narrativa contemporanea.

Le “rughe” di cui ci Abate racconta sono quelle di Sahra, donna somala che vive in un paese della Calabria. Perché oggi la storia passa da lì: dai centri d’accoglienza, dalle comunità come quella armoniosa di Riace o come quella difficile di Rosarno, così dissimili, così simboliche. Un romanzo in qualche modo “doveroso”, che risponde a questa chiamata della Storia che coinvolge tutti noi. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Una sola parola, oggi, è urgente analizzare, raccontare: migrazioni. Sei d’accordo?

«È il tema centrale dei miei libri, dal mio esordio in Germania nel 1984 al mio romanzo precedente “La felicità dell’attesa” (2015). Anzi, dirò di più: ho cominciato a scrivere proprio per denunciare la costrizione ad emigrare: perché costringere una persona ad abbandonare la propria terra e la propria famiglia per andare a vivere all’estero è un’ingiustizia che io ho vissuto sulla mia pelle. Nonno Carmine è stato tre volte emigrato nella cosiddetta Merica Bona, gli Usa, una volta da clandestino; mio padre ha lavorato nelle miniere francesi e nei cantieri tedeschi; e io, che sono cresciuto con un padre che vedevo per poche settimane all’anno, che era partito per non farmi partire, alla fine sono stato costretto a partire anche io, sia pure con una laurea nella valigia. La mia biografia è perciò intrisa, nel bene e nel male, di migrazione. Tra l’altro sono nato in un paese arbëresh, fondato o ripopolato alla fine del Quattrocento dai profughi albanesi che scappavano dalla dominazione ottomana…».

Prima dalla Calabria al resto del mondo, ora dal resto del mondo alla Calabria: la tua storia sceglie stavolta un percorso opposto...

«Non è stata una scelta fatta a tavolino, la storia mi si è imposta con naturalezza, proprio per il paradosso che una terra come la Calabria, ma io direi un Paese come l’Italia, spolpata dal fenomeno dell’emigrazione, sia diventata una terra di immigrazione. Fatte salve le enormi differenze, alla base di ogni partenza per costrizione c’è una ferita che difficilmente si cicatrizza e che io ho conosciuto bene».

Una protagonista femminile, di più: un libro al femminile. Perché questa scelta, proprio nel tuo libro più drammaticamente dentro uno dei temi più dolorosi dei nostri tempi?

«Sì, racconto la storia di tre somale, Sahra, la protagonista principale, e poi sua cognata Faaduma che vive con la piccola Marian nel centro di seconda accoglienza in un paese della Calabria come il mio. A loro andrebbe aggiunto un personaggio realmente esistito, Maana Suldaan, una grande donna che ha fondato nel Sud della Somalia, con un geologo italiano, un paese di orfani e per tutta la sua vita ha combattuto contro l’infibulazione. Volevo dunque raccontare il coraggio di queste donne, la loro dignità, partendo proprio dalle rughe del sorriso di Sahra, in cui si nascondono le sofferenze, le violenze subìte, i segreti e, più in generale, il dolore dei migranti».

Qual è secondo te il ruolo della letteratura, degli scrittori, in questo difficile momento?

«Raccontare, raccontare la realtà, anche la più scomoda e controversa, come è quella della migrazione. Senza ideologismi e moralismi. Anni fa un grande scrittore, premio Nobel per la letteratura, Josè Saramago, ci esortava con lungimiranza a non chiudere gli occhi: “Scrittori, non disertate, il razzismo sta invadendo il mondo”. Non solo condivido, ma è quello che ho sempre cercato di fare, dal mio primo libro, “Il muro dei muri” fino alle “Rughe del sorriso”».

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