Calabria

Sabato 13 Settembre 2025

Calabria, quelli della notte, sulla Statale 106: precari della scuola diretti al Nord

(Foto Angelo Maggio)

La dimensione del fenomeno migratorio dei giovani (e meno giovani) calabresi della fascia ionica si coglie di questi tempi ogni sera, transitando nei pressi delle pensiline degli autobus a lunga percorrenza lungo la Statale 106, l’arteria che collega Reggio Calabria a Taranto che, nel Reggino e nel basso Catanzarese è la stessa di settant’anni fa, salvo i pochi innesti delle “varianti” a quattro corsie e una progettualità lontana dall’obiettivo di renderla una valida alternativa all’autostrada. Un lungo nastro grigio che attraversa i centri costieri, sa offrire panorami mozzafiato e tesori archeologici, e che si percorre in tempi lunghi. L’autostrada è lontana; la ferrovia tirrenica coi treni a lunga percorrenza pure. E allora, a debita distanza dalla vivacità economica e produttiva della Piana di Gioia Tauro, dal suo porto e dalla Costa degli Dei, il lavoro spesso manca e, quasi sempre, si è costretti a partire. Anche con una o più lauree in tasca. E quando si parte, lo si fa con gli autobus. In fondo, padri, nonni e zii delle ondate migratorie del Novecento sono stati più fortunati. Partivano dai treni che fermavano in ogni stazione della linea “Reggio-Metaponto” e il senso di comunità di ogni “favorite?” negli scompartimenti pieni rendeva meno amara la lunga trasferta e la notte da trascorrere in viaggio. Le mete erano chiare e sicure: la Fiat, o comunque il triangolo industriale Milano-Torino-Genova, condividendo un pezzo di formaggio e un sorso di vino rosso coi figli della borghesia locale che andavano a studiare a Bologna e a Roma. La Fiat di oggi, invece, è la scuola, con le sue opportunità di lavoro a tempo determinato, la possibilità di accumulare punteggio per salire in graduatoria e conquistarsi un futuro di superamento dell’atavico precariato. Magari in Calabria. E allora, prima di salire sugli autobus che dal 16 agosto a tutta la prima decade di settembre raddoppiano o triplicano le già folte schiere di passeggeri, ci sono delle tappe preliminari: le code ai patronati, l’iscrizione alle liste di disponibilità in province remote, magari suggerite da qualche amico che ne sa di più. L’attesa dell’e-mail di convocazione alla quale dare disponibilità e del messaggio successivo col quale si viene convocati e, nel giro di 24/48 ore, prendere servizio, danno l’idea di chi vive perennemente ai blocchi di partenza e con la borsa pronta. Perché non si sa mai. Le avvertenze non mancano: spesso gli incarichi sono condivisi tra due/tre/quattro istituti e bisogna districarsi tra la segreteria che ti dice di venire automunito perché il trasporto pubblico locale è carente ovunque e tu che una macchina non te la puoi permettere e sei pronto ad affrontare qualche mese (se ti va bene) in giro tra sperdute scuole delle province alpine o dolomitiche, o a fendere la nebbia della bassa padana. Sì, perché quando si parte, si parte. Le compagnie di autolinee hanno modificato i loro itinerari aggiungendo capoluoghi di provincia e centri di piccole e medie dimensioni alle grandi città, perché il grosso dei passeggeri è costituito dai precari della scuola. Il loro viaggio è meno scomodo di quanto si possa immaginare, visto che alla maggiore comodità dei mezzi moderni si aggiungono le pause ogni tre ore in autogrill, il film proiettato dopo cena e qualche canzone di Mimmo Cavallaro o di Cecè Barretta in cuffia, come ultima concessione alla nostalgia di casa. Poi, per quanto possibile, è meglio dormire. L’indomani bisognerà raggiungere la scuola, prendere servizio e, tra una cosa e l’altra, trovare un posto in cui dormire, magari ricorrendo al passaparola di chi c’è già. I mesi passeranno comunque, lontano dal mare ma facendo comunella con gli altri conterranei, tra pizze fatte in casa per risparmiare e la festa portata dal corriere insieme al “pacco da giù”. Autobus notturni colmi di professori, certo. Ma anche e soprattutto di personale Ata. Una ristretta elite di addetti alle segreterie e la folta schiera dei bidelli. Ama definirsi così Francesca da San Giovanni di Gerace, che la prima volta che è partita per un contratto a tempo determinato, la musica la ascoltava in cassetta, con le cuffie con la spugna arancione e l’autoreverse. «I primi tempi sono brutti – assicura al cronista – ma poi ci si abitua». Lo dice oggi, forte dei suoi decenni al servizio della scuola che le hanno permesso di far studiare e laureare le due figlie. Una lavora a Siderno, l’altra si è stabilita a Parma. Uno a uno, come un compromesso tra la terra natìa e quella che il lavoro te lo ha dato. Alessandra da Locri, invece, è l’esempio della caparbietà. Una laurea in Giurisprudenza che, a dispetto delle aspettative, non garantisce un futuro nella propria terra. E un passato prossimo da bidella nelle scuole piemontesi. Prima la struttura dello stipendio; poi la sovrastruttura della realizzazione professionale. E un orario che permette, lontano da casa e dal mare, di studiare per i concorsi. Le graduatorie diventano tante, fino a quella giusta che le ha permesso di trovare lavoro stabile in Calabria e di pensare ai tempi trascorsi nelle Langhe con un pizzico di nostalgia. Un esempio per tutti, lei. Anche per la sua amica e concittadina Maria. Stessa laurea e analoga rabbia. Quarant’anni e un futuro professionale come un’incognita. È pronta a partire, anche come bidella. È un caso se, invece, il destino le riserva un posto da supplente in segreteria. Scopre la Pianura Padana e le nutrie, condividendo l’appartamento con altri laureati più giovani, Nello e Raffaella, e un’archeologa catanese che fa la maestra. I mesi passano anche per loro nella villetta condivisa in cui le cortesie tra coinquilini sono la sfida a tavola tra il casatiello dei due fidanzatini e lo stocco alla trappitara della locridea. Cena che si conclude con la cioccolata di Modica, portata da Angela. E poi c’è chi si è spinto oltre i filari di Asti, il Mantovano o il Bellunese. È il caso di Adrian Pileggi da Siderno, padre di due bambine, separato, che dopo anni di precariato come docente di Storia in Calabria ha trovato il suo posto in Germania. Oggi insegna alla Leibniz Privatschule di Elmshorn, una delle scuole più importanti e prestigiose del Paese, e tra le più grandi della regione con oltre 2.000 studenti. Adrian ci insegna che, seppur riconosciuto all’estero, le bellezze e i valori della propria terra non si dimentica, mai. Ma la Calabria ha bisogno di politiche concrete che non solo valorizzino chi decide di restare, ma che impediscano a chi ha la possibilità di partire di farlo. Serve che le politiche del lavoro e dello sviluppo economico diventino la priorità della nuova classe politica che si presenterà alle urne. Non è più tempo di parole vuote, ma di azioni concrete per fermare l’emorragia di talenti che impoverisce la nostra regione. Servono lavoro stabile, incentivi per le imprese innovative, investimenti in formazione e ricerca, e infrastrutture moderne. Solo così, gli autobus colmi di ogni fine estate potranno essere utilizzati per viaggi di piacere e non per lunghe e insonni traversare dalla 106 all’autostrada. Certe notti, qui. (Foto Angelo Maggio)

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