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Sicurezza idrogeologica, in Calabria sorgono dubbi sul nuovo piano

Le amministrazioni locali lamentano scarso coinvolgimento. Nel mirino i «troppi vincoli che bloccano i territori»

Sta sollevando perplessità tra addetti ai lavori e mondo politico il progetto di Piano stralcio di bacino del distretto idrografico dell’Appennino meridionale per l’assetto, la mitigazione e la gestione del rischio da alluvioni in Calabria. Si tratta di quel documento, adottato dall’Autorità di bacino distrettuale, che una volta approvato prenderà il posto del Pai (piano per l’assetto idrogeologico) che risale ormai al 2001, un anno dopo la disastrosa alluvione di Soverato che costò la vita a 13 persone.

Le attività svolte

Il documento contiene il piano di gestione del rischio alluvioni e il piano stralcio di assetto idrogeologico, entrambi volti a perimetrare le aree a rischio da sottoporre a misure di salvaguardia. Il territorio è stato al centro di attente analisi - l’Autorità si è mossa con i suoi esperti assieme a Regione e strutture universitarie tra cui Unical - sulla situazione attuale e sulle dinamiche evolutive, prospettando scenari di pericolosità e conseguenze attese.

Le critiche

Contenuti e metodo di definizione del piano viaggiano a braccetto nelle critiche finora mosse al corposo provvedimento e alle sue varie tavole nelle quali sono indicati rischi e vincoli. Alcune amministrazioni locali lamentano il mancato coinvolgimento nel processo di adozione da parte dell’Autorità. Una posizione suffragata nei giorni scorsi dal consigliere regionale del Pd Ernesto Alecci che, pur riconoscendo la validità degli obiettivi di prevenzione del piano, «così come attualmente concepito introduce significativi vincoli in molte aree dei vari territori calabresi e potrebbe avere ricadute negative sull’attrattività di molti di questi, soprattutto dal punto di vista turistico». In particolare ha lamentato il mancato coinvolgimento delle amministrazioni citando le critiche lanciate dall’amministrazione comunale di Davoli, nel Catanzarese - si è mossa anche Bagnara, nel Reggino - che ha paventato il rischio di penalizzare lo sviluppo di quei comuni che negli anni hanno fatto registrare una buona crescita a livello economico e commerciale.

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