La fumata bianca non c’è ma una via d’uscita in fondo al tunnel s’intravede. Non è poco in tempi così bui per i lavoratori dei call center. Ieri a Roma si è consumato il primo passaggio ufficiale con la riunione convocata dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, e che ha visto la partecipazione della titolare del dicastero del Lavoro, Marina Calderone, oltre che dei rappresentanti di diverse Regioni - con la Calabria rappresentata dal governatore Roberto Occhiuto e dall’assessore Giovanni Calabrese - delle organizzazioni sindacali e di Tim, la principale azienda di telecomunicazioni del Paese.
«Si rischia una macelleria sociale», continuano a ripetere i sindacati dei call center. Perché la bolla dei telefoni ormai è scoppiata da un pezzo. Delocalizzazioni in Albania e in Africa, investimenti sull’intelligenza artificiale e sulle app popolate da bot hanno nettamente tagliato i volumi di lavoro.
Dunque, c’è l’urgenza di trovare soluzioni immediate. Quella proposta dalla Calabria, ascoltata con interesse durante il confronto capitolino, prevede la riconversione e la riqualificazione degli addetti in un'attività significativa e utile al Paese che è quella della digitalizzazione della Pubblica amministrazione.
In buona sostanza, facendo leva anche sulle risorse messe a disposizione dal Pnrr, si punterebbe a utilizzare i lavoratori in attività di dematerializzazione degli archivi comunali e di altri enti pubblici come le Asp. «Si tratta di un obiettivo sfidante - sono state le parole utilizzate dal ministro Urso - che riguarda la competitività del nostro sistema Paese. Penso che da questo progetto pilota ne possano conseguire altri per individuare, in collaborazione con le regioni e i sindacati, una strada per poi salvaguardare coloro che lavorano all'interno del settore delle telecomunicazioni».
La Regione, dal canto suo, intende fare presto perché teme gli effetti di una bomba sociale pronta a deflagrare. Gran parte della crisi ruota attorno all’Abramo Customer Care: l’azienda calabrese, già adesso in amministrazione controllata e con all’orizzonte lo spettro fallimento, ha ricevuto da Tim la comunicazione che verrà dimezzata la mole contrattuale. In bilico c’è il futuro occupazionale di circa 1.000 famiglie.
Per i sindacati servirebbe un’azione più incisiva di Palazzo Chigi. Tim annovera tra i suoi azionisti proprio lo Stato attraverso la Cassa depositi e prestiti. Il dato che farebbe ben sperare è stata la non chiusura dell’azienda rispetto all’ipotesi di trovare soluzioni temporanee (ergo, una nuova proroga dei contratti). I rappresentanti dei lavoratori invocano provvedimenti seri e denunciano il sensibile calo dei volumi con un massiccio ricorso alla cassa integrazione con un importante taglio della retribuzione già non alta di suo poiché quasi tutti gli operatori sono assunti part-time. Occhiuto e Calabrese, in ogni caso, guardano al bicchiere mezzo pieno e contano di aver portato governo, azienda e sindacati su posizioni costruttive nell’interesse dei lavoratori precari.
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