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‘Ndrangheta nel Nord Italia, l’ex magistrato Pennisi: “I clan ormai guardano alla finanza”

Trafficano droga, inquinano il tessuto economico, si infiltrano nelle amministrazioni locali, mettono le mani nei lavori pubblici, prestano denaro strozzo e flirtano con imprenditori e politici. La colonizzazione delle cosche di ‘ndrangheta di tutte le regioni settentrionali del nostro Paese è ormai un dato di fatto.
E tutto questo avviene da decenni.
Un cambio di strategia che ha portato la criminalità organizzata calabrese a legarsi più al potere finanziario che alle gestione militare del territorio. Questa è la visione di un ex magistrato, un fuoriclasse della magistratura requirente che ha fatto la storia della lotta alla ‘ndrangheta nel distretto di Reggio Calabria e non solo. Il procuratore Roberto Pennisi, infatti, ha messo la firma (insieme a tanti altri colleghi della Dda dello Stretto) su alcune delle più importanti inchieste contro la criminalità organizzata calabrese, protagonista della stagione dello smantellamento di interi storici casati di ‘ndrangheta e l’arresto e la condanna dei suoi boss.

«La ‘ndrangheta di una volta non è quella di adesso - ha dichiarato l’ex sostituto procuratore nazionale antimafia a Gazzetta del Sud - e anche il termine infiltrazione non ha più senso. Prima i clan erano organizzazioni parastatali, ora sono antistatali. Nel passato controllavano il territorio esercitando un potere attraverso le estorsioni, il controllo degli appalti, i rapporti con i poteri pubblici e politici nel periodo delle elezioni. L’unica costante che vedo in questo quadro d’insieme è il traffico di droga, che alla fine rimane il primo business della ‘ndrangheta e serve ad aumentare la potenza finanziaria di questi gruppi. In questo momento storico, non è più necessario infiltrarsi, perché cosa devono controllare?».

Secondo il ragionamento di Pennisi, quindi, «quel mondo che conoscevamo è finito, la droga è fonte di potere finanziario e le cosche non si interfacciano più con politica, ma con la finanza che il vero potere che condiziona la vita dei popoli. Il potere in mano alla ndrangheta è questo: per i poteri finanziari avere a che fare con la criminalità mafiosa vuol dire avere a disposizione le enormi risorse economiche di cui la ‘ndrangheta dispone grazie al controllo dei traffici di droga. E questo, per le cosche, è anche un canale privilegiato per il riciclaggio dei proventi illeciti».
In questo schema, secondo Pennisi, anche «il nord Italia è diventato uno spazio troppo ristretto per gli affari della criminalità, serve più spazio: ecco allora la presenza in Europa, i legami con i gruppi finanziari cinesi. Inoltre, ormai tutto è agevolato dalle nuove modalità con cui il denaro circola rispetto al passato. Già la criptovaluta sembra desueta, con nuovi metodi si muove denaro in maniera più efficace e meno aggredibile da parte delle foze dello Stato».
Seguendo questo ragionamento, per Pennisi, parlare oggi di infiltrazione di ‘ndrangheta del Nord rischierebbe di portare fuori strada: «Se la intendiamo come gruppi di calabresi che si trasferiscono al nord - spiega l’ex procuratore - e che si organizzano come i Papalia a Buccinasco, per esempio, secondo me ci sbaglieremmo: il loro metodo è più efficace, purtroppo. Non hanno più necessità di legarsi alla politica, perché la politica ormai conta poco. Queste organizzazioni, che sono poteri terribili, si interfacciano con chi conta. Qualcosa la lasciano sul territorio, estorsioni, controllo delle piazze di spaccio, ma sono specchietti per le allodole. Questo spiegherebbe perché le indagini svolte seguendo le impostazioni mentali del passato, anche se gestite con sistemi moderni, sono operazioni che lambiscono il fenomeno, ma non lo colpiscono. Oggi c’è una realtà stratificata, servono indagini capaci di colpire i poteri finanziari internazionali che hanno legami con la ‘ndrangheta. Oggi, però, lo Stato è impegnato a garantire quell’ordine pubblico nei territori che, paradossalmente, in passato erano gestiti a modo suo da qual potere parastatale che oggi non c’è più. Lo Stato, che ha sconfitto le organizzazioni criminali del vecchio sistema, avrebbe dovuto riempire con le sue strutture i vuoti lasciati dalle mafie, ma mi pare non l’abbia fatto».

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