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Mimmo Lucano, l’orgoglio e il mistero: "Processo politico, gli investigatori erano in imbarazzo"

L’eloquio non è cambiato di un semitono, la semplicità disarmata dei concetti, neppure. È sempre uguale a se stesso, “Mimmo u curdu”. L’uomo è un sopravvissuto, e lo sa. «Come ho passato la notte, dici? Così, in solitudine. Si riflette meglio, sai? Ieri mi hanno chiamato in tanti per festeggiarmi, persone che condividono con me questa voglia che ho dentro, la voglia di riscatto per la nostra terra».

A volte Domenico Lucano sembra parlare da politico. Da quel politico a tutto tondo che forse diventerà, non da semplice ex sindaco di quella Riace che prima di diventare grazie a lui un simbolo mondiale di accoglienza e umanità era solo un buco sperduto dell’alta Locride, assurto a immeritata fama solo per due giganti di bronzo rubati al mare. È solo un’impressione, però, una prospettiva che tratta come se ancora dovesse chiarirla a se stesso, un’incognita che nemmeno la domanda diretta riuscirà a sciogliere. Tocca arrivarci per gradi, però.

Per adesso esiste solo lo scampato pericolo. È probabile che la semplicità vera e non ostentata che tutti hanno sempre riconosciuto a Lucano gli abbia mantenuto integra la sanità mentale. Condannato a tredici anni e spiccioli in primo grado, chiesti dieci anni e spiccioli in appello: tanto per salvare la forma, col senno di poi, ma sul momento c’era poco da scherzare. Assolto, al netto di qualche spicciolo. Un anno e sei mesi per un qualche abuso che leggeremo nelle motivazioni, magari per una regola “aggirata”, piccole forzature che lui stesso non ha mai negato di aver commesso, per venire incontro a qualcuno dei “suoi” migranti.

Lucano, è la fine di un incubo. Rischiava di finire in carcere, resterà un uomo libero. Il giorno dopo a chi sono rivolti i suoi pensieri?

«Guarda, le sole persone che mi vengono in mente sono i miei avvocati. A cominciare da Antonio Mazzone, che purtroppo non c’è più. È il primo che ha avuto fiducia in me, subito, all’indomani degli avvisi di garanzia, mano a mano che la persecuzione avanzava. Lui aveva la conoscenza del territorio, della Locride, e ha capito subito tutto. E attenzione, non mi ha detto tutto. Mi ha solo fatto capire».

Prego? Fatto capire cosa?

«Il mistero. Mi ha fatto capire che era una storia importante, molto più importante della mia persona. Io inavvertitamente avevo toccato interessi fortissimi. Lui aveva idee politiche diverse dalle mie, ma il sogno di giustizia era lo stesso. E questo l’ha trasmesso anche agli altri avvocati che mi hanno difeso, Andrea Dacqua e Giuliano Pisapia. Nessuno ha voluto un euro, sai? Mio padre prima di morire mi ha detto: guarda ho qualche soldo da parte per il mio funerale, usalo per pagarti gli avvocati. Non ne ho mai avuto bisogno».

E il mistero resta un mistero?

«Sì, non saprei che altro dirti. So solo che è qualcosa che ha indotto quello che era il miglior penalista di tutta la Calabria a difendermi gratis. I miei avvocati sono persone che hanno condiviso con me la voglia di riscatto della nostra terra. Sensibilità da vera Calabria. Sarà anche un’utopia, ma io l’ho sempre pensato, la Calabria è una terra sensibile a chi vive i disagi, come i migranti. Cosa mi sfugge di tutta la storia, quale sia il mistero, non riesco ancora a comprenderlo Stavano per mandarmi in galera per storie raccontate in modo contrario a quella che era la realtà. La realtà è che ho quattro soldi in banca, vivo nella casa che era di mia madre e possiedo solo una macchina comprata a rate. Niente altro. Come posso essere accusato di peculato e concussione? Ecco, io rapportavo tutto alla mia storia da sindaco, ma qui è tutto risaputo, la gente sa, ci conosciamo. Tutti sanno che la ’ndrangheta, la dimensione criminale, non mi appartiene. Mazzone sapeva e non mi ha voluto dire. Ma io sono andato avanti, a testa alta e senza chiedere sconti a nessuno. Assumendomi sempre le mie responsabilità».

Niente paradisi fiscali quindi. Anche questo hanno detto.

«Io neanche so dove sono, le isole Cayman. Mazzone mi disse: non vogliono te come sindaco. Ma io sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto, sai? Per la prima volta a Riace l’immigrazione è stata considerata un’opportunità e non un problema. E infatti il modello è vivo, la nostra esperienza di accoglienza oggi continua altrove».

Mi corregga se sbaglio. I suoi problemi sono iniziati con il centrosinistra al governo e il calabrese Minniti ministro dell’Interno. Sono finiti con il governo più destrorso e sovranista della nostra storia dal dopoguerra ad oggi.

«Ora che mi ci fai pensare è così. Dal 2015/16 con la scusa della sicurezza, si sono attuate politiche che hanno incattivito il clima generale. Mentre Riace è stata la dimostrazione plastica che quello che quel regista tedesco (Wim Wenders, ndc) ha definito un messaggio per il mondo: una popolazione povera accoglie e non rifiuta. Perché la sinistra allora abbia cavalcato questo clima non lo so. Certo, pensavano di aumentare il consenso. Solo che Salvini e quelli come lui poi lo hanno fatto molto meglio. Il “messaggio” che è venuto fuori rappresenta una politica che non ha entusiasmo, che non ha idee. Senza un valore, senza un ideale da raggiungere che senso ha fare politica?».

Però Vittorio Sgarbi si è detto felice per la sentenza di Reggio. Che effetto le fa?

«Bellissimo. Lui mi ha fatto pure cittadino onorario di Sutri, dove era sindaco. Un giorno capiranno che sei stato un profeta, mi ha detto».

La politica. Certo che ora non si può più nascondere. Mimmo Lucano è nome potente e spendibile, tutte le forze del centrosinistra se lo contenderanno e tra poco ci sono le Europee.

«Io sono grato a Luigi De Magistris, che mi voleva con lui alla Regione. Ma non so, non farmi dire niente ti prego. Giorno 16 sarò a Roma, forse incontrerò qualcuno, non so. E il 29 faremo una bella cosa a Riace, al Villaggio Globale, spero che venga pure Roberto Saviano. Sei invitato»

Brutale curiosità: se Lucano si candidasse oggi a sindaco di Riace sarebbe rieletto?

«Io penso di sì. Probabilmente sì. Ma magari mi sbaglio, non voglio essere presuntuoso».

Cosa le è rimasto più impresso dei processi che ha dovuto subire?

«Il colonnello della Guardia di Finanza. Guardava le carte, doveva riferire, ma era in crisi, si vedeva. Sindaco, io la fotografia della situazione devo fare, mi diceva».

Come se si scusasse.

«Sì. Alla chiusura indagini me l’ha detto: vedrà, lei risolverà tutto».

Ha proprio risolto tutto, Mimmo u curdu. Qualunque cosa se ne pensi, c’era mancato.

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