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Il narcos di Limbadi coinvolto nel caso Chindamo e i «rapporti con le forze dell’ordine»

Le rivelazioni del pentito Mancuso sull’uomo accusato di aver fatto sparire la donna

Scomparsa di Maria Chindamo Altri scavi per cercare il corpo

«Questo ci ammazza! Te lo dico io! Che quando meno ce lo aspettiamo questo ci mette alla fucilazione… voi lo sottovalutate (…) non ha pietà di nessuno (…) ma tu lo hai visto ieri sera? Che bestia che è? Ma tu ti immagini… che c’eri tu… che se ero io sola questo mi ammazzava». E ancora: «Che non mi faccia parlare! Che non mi faccia parlare che gli faccio prendere l’ergastolo!». Sfogandosi coi figli per le violente aggressioni subite, e dopo un servizio dedicato da Chi l’ha visto? al caso di Maria Chindamo, la moglie di Salvatore Ascone parlava in questi termini del marito, accusato dalla Dda di Catanzaro di concorso nell’omicidio dell’imprenditrice di Laureana di Borrello scomparsa dalla sua proprietà il 6 maggio 2016 e mai più ritrovata. Ascone, ritenuto un narcos fedele ai Mancuso, sarebbe coinvolto nel brutale femminicidio «proprio per una serie di macroscopiche anomalie – scrivono i pm antimafia che hanno condotto l’inchiesta “Maestrale Carthago” – che di fatto hanno consentito l’impunità agli esecutori dell’omicidio».
Secondo uno che lo conosceva bene, cioè il pentito Emanuele Mancuso, Ascone «è nato nella ’ndrangheta ed ha sempre fatto parte della famiglia Mancuso: si vantava con me di averne fatto parte fin dalla nascita e di essere cresciuto insieme alla mia famiglia».

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