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Inchiesta “Glicine Acheronte”, una "federazione" criminale tra i clan di tutte le province. Le attività “diplomatiche” del boss crotonese Megna

Dopo la scarcerazione del boss Mico Megna a gennaio 2014, l’omonima cosca di Papanice s’era riorganizzata anche attraverso la «ripresa dei contatti» con gli altri clan con i quali «era necessario riallacciare e instaurare nuovi legami». I “papaniciari”, infatti, erano riusciti a creare una «federazione» non solo con le organizzazioni criminali del Crotonese, ma anche con i quelle delle «province catanzarese e cosentina», del Vibonese e del Reggino. Lo mettono nero su bianco i poliziotti delle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro e del Servizio operativo centrale nell’informativa - del 2018 - confluita nell’inchiesta “Glicine Acheronte” coordinata dalla Dda di Catanzaro.
L’operazione, scattata lo scorso 27 giugno con l’esecuzione di 43 misure cautelari, ha consentito ai carabinieri di disarticolare la cosca Megna e smantellare il presunto comitato d’affari - politici, imprenditori e persone in odor di mafia - che per anni avrebbe influenzato le istituzioni pubbliche crotonesi e regionali per finalità elettorali. Su tutti, gli inquirenti citano i rapporti tra i “papaniciari” e la cosca Barilari-Foschini di Crotone. Tre le vicende risalenti al 2014 finite sotto la lente: un’estorsione; una somma di denaro che l’allora capo dei Barilari-Foschini avrebbe dovuto far recapitare a Mico Megna in «un uovo di Pasqua»; e il compromesso trovato dai Barilari-Foschini per consentire ad un panificio vicino ai “papaniciari” e ad un altro contiguo alla cosca Farao-Marincola di Cirò di imporre la fornitura del pane agli ambulanti della fiera mariana di Crotone.

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