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’Ndrine al Nord: la Val d’Aosta “colonizzata” da San Luca

Nella sentenza di un troncone del processo “Geenna” la genesi del potere mafioso costruito sul modello della casa madre

La Corte di Cassazione

«In questo processo, svoltosi nel merito nelle forme del giudizio a prova contratta, le acquisizioni probatorie, non sgorgate dal contraddittorio dibattimentale per la prova e sulla prova in formazione, emergenti in via diretta ed immediata dagli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, hanno consentito di accertare che in Aosta era operativa, negli anni in contestazione, una organizzazione mafiosa del crimine che affonda le sue radici nella ’ndrangheta calabrese, ubicata nei settori jonici reggini». È quanto scrivono i giudici della Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza del filone in abbreviato del processo denominato “Geenna”, sull’asserita presenza della ’ndrangheta in Val d’Aosta, che si è concluso con le condanne definitive a carico di Bruno Nirta (12 anni), Francesco Mammoliti (5 anni), Roberto Alex Di Donato (5 anni), Roberto Bonarelli (1 anno e 6 mesi) e Carlo Maria Romeo (4 anni e 6 mesi), quest’ultimo di professione avvocato condannato per vicende legate a reati sugli stupefacenti ma già assolto in primo grado dall’accusa di associazione esterna ed esclusione della contestata aggravante.
Disposto invece l’annullamento con rinvio per le posizioni di Marco Fabrizio Di Donato, limitatamente ai capi d’imputazione su presunto voto di scambio politico-mafioso e su un reato di estorsione, e di Salvatore Filice limitatamente ad un’ipotesi di concorso in tentata estorsione.

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