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Sant’Onofrio, pizzini da decifrare nella casa di Bonavota

Il lavoro dei carabinieri in un appartamento di Genova dove si nascondeva il boss

Pasquale Bonavota, il boss di ’ndrangheta latitante dal 2018 arrestato in cattedrale a Genova, al momento dell’arresto aveva in tasca anche alcuni santini e un telefonino intestato a un’altra persona. Ma è soprattutto quello che è stato trovato nell’appartamento del quartiere San Teodoro a catturare l’attenzione degli investigatori del Ros. A partire da alcuni manoscritti. Si tratta da quanto si è appreso di foglietti su cui Pasquale Bonavota avrebbe appuntato alcuni nomi assieme ad alcune indicazioni. Pizzini che potrebbero svelare non solo l’identità dei fiancheggiatori ma anche gli affari illeciti che il boss della famiglia di Sant’Onofrio sarebbe riuscito a portare avanti anche nel lungo periodo di latitanza. Saranno adesso gli esperti dell’Arma assieme ai magistrati della Dda di Catanzaro guidati dal procuratore Nicola Gratteri a decriptare quei messaggi. In queste ore si analizza il materiale informatico sequestrato nella casa. Nel computer portatile potrebbero celarsi ulteriori elementi. Inoltre sul comodino a fianco al letto del 49enne sono stati trovati e sequestrati due mini cellullari. Si tratta di quelli che in gergo vengono chiamati "telefoni citofono": sim dedicate che possono parlare esclusivamente tra loro. Una comunicazione limitata ma che impedisce agli investigatori di ricostruire la rete di contatti intercettando una singola utenza.

Nell’appartamento al quarto piano di via Bologna il boss, secondo gli inquirenti, stava da sei mesi quando aveva affittato la casa tramite un’agenzia immobiliare. Gli investigatori del nucleo operativo di Genova (guidati dal colonnello Michele Lastella) e dei Ros (diretti dal maggiore Fabrizio Perna) hanno trovato anche documentazione sanitaria: documenti che Bonavota avrebbe utilizzato per visite e analisi di routine. Gli inquirenti stanno cercando di capire chi gli abbia fornito i documenti di identità, almeno quattro. Quello che aveva in tasca era intestato a un uomo di Sant’Onofrio, realmente esistente.

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