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Lamezia, nuove rivelazioni sull’omicidio Pagliuso: il “patto di silenzio” con il killer Gallo

Depositate le dichiarazioni rese da Antonio Scalise ai magistrati della Dda di Catanzaro

La scena del crimine

Il movente del brutale omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso, i legami con l’insospettabile killer Marco Gallo, le infiltrazioni negli appalti pubblici e nel settore boschivo. Tutto raccontato in tre verbali appena depositati agli atti del processo Reventinum, l’inchiesta che ha ricostruito gli affari illeciti del cosiddetto clan della Montagna guidato dagli Scalise. Ed è proprio un componente della “famiglia” ad aver parlato quest’estate con i magistrati della Dda di Catanzaro. Indagato in un procedimento connesso Antonio Scalise, assistito dall’avvocato Michele Gigliotti, ha deciso di rendere dichiarazioni agli inquirenti assieme a sua moglie. Parole che confermano le intuizioni degli investigatori e dimostrano il potere di Pino e Luciano Scalise sull’area del Reventino.
Padre e figlio sono stati condannati in primo grado all’ergastolo (è in corso l’appello) come mandanti dell’omicidio del penalista Francesco Pagliuso, ucciso nella notte tra il 9 e il 10 agosto del 2016 a Lamezia. Secondo la ricostruzione della Dda di Catanzaro l’eliminazione dell’avvocato sarebbe stata decisa da Pino e Luciano Scalise perché aveva assunto la difesa dei Mezzatesta loro rivali. Ora in quei verbali appena depositati quell’ipotesi sembra trovare ulteriore conferma. Viene infatti attribuita a padre e figlio una frase riferita a Francesco Pagliuso “accusato” di «difendere chi non doveva difendere». Più volte, secondo quanto dichiarato da Antonio Scalise e da sua moglie, in casa sarebbero stati svelati i propositi di vendetta e la «necessità di farlo fuori».

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