Non solo i “tentacoli” su biomasse e appalti pubblici. Perché la cosca Ferrazzo di Mesoraca sarebbe stata ben inserita anche nel traffico e spaccio di cocaina, hashish e marijuana. In che modo? La droga veniva messa sul mercato nel centro dell’entroterra crotonese, oltre ad essere trasportata in Svizzera, Germania e nord Italia. E l’anello di congiunzione tra Mesoraca e la Svizzera per lo smercio delle sostanze stupefacenti sarebbe stato Santo Fuoco.
Si tratta di un ulteriore tassello investigativo elaborato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con l’inchiesta “Ndrangheta di Mesoraca” che lunedì scorso ha portato all’esecuzione di 31 arresti, 27 in carcere e 4 ai domiciliari, da parte dei carabinieri. Il «collegamento con la Svizzera», scrive il gip del Tribunale di Catanzaro nell’ordinanza con la quale ha disposto le misure cautelari, ribadisce la «capacità del gruppo criminale di disporre in modo continuativo del narcotico e di soddisfare la domanda di mercato non solo entro i ristretti confini del territorio di Mesoraca ma anche all’estero». Inoltre, il clan che si sarebbe occupato anche del commercio della droga dentro e lontano i confini italiani, sarebbe guidato dal capocosca Mario Donato Ferrazzo. Il quale, è la tesi accusatoria, veniva costantemente informato «delle principali problematiche concernenti le attività di narcotraffico». Tant’è che quando nel 2016 si verificarono alcune frizioni interne alla ’ndrina di Mesoraca a causa della perdita di una partita di droga, si rese necessario l’intervento pacificatore dello stesso Ferrazzo per sedare gli animi. «Ora quanto prima che mi riesce, e mi vedo gli devo parlare – diceva al telefono Vincenzo Mantia riferendosi al numero uno del clan –. Perché ci sono un po’ di cose che mi hanno dato troppo fastidio». E poi: «No… non mi hai capito…che Cenzo non se ne tiene cose… che gli dice tutto…. a Mario», parlava invece Pietro Fontana sempre in merito alle fibrillazioni che erano sorte nell’organizzazione.
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