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Strage in via Popilia a Cosenza, chiesti tre ergastoli

L’agguato venne compiuto la sera del 9 novembre di ventidue anni fa

Il palazzo di giustizia di Catanzaro dove si sta svolgendo il processo d'appello

Il crepitio del fucile mitragliatore Kalashinkov e il sibilo delle pallottole esplose dalle pistole calibro 9 per 21 ruppe il silenzio del popoloso quartiere di via Popilia: l’apparentemente placida Cosenza si ritrovò teatro d’una strage compiuta da un commando di killer spietati. Era la sera del 9 novembre del 2000: i sicari, giunti a bordo di una Lancia Thema, aprirono il fuoco contro tre uomini intenti a parlottare in uno slargo. Per due di loro – Benito Aldo Chiodo e Francesco Tucci – non ci fu scampo; il terzo, Mario Trinni, riuscì invece a salvarsi correndo a perdifiato nonostante la ferita a un braccio. L’agguato avrebbe dovuto dare il via a una guerra di mafia per il controllo del capoluogo bruzio. Guerra che poi non si concretizzò per effetto del successivo arresto e della scelta di collaborare con la giustizia fatta da Franco Bevilacqua, all’epoca capo della criminalità nomade bruzia e componente del gruppo di fuoco.
Il sostituto procuratore generale di Catanzaro, Salvatore Di Maio, ha ricostruito in aula, ieri, davanti alla Corte di assise di appello del capoluogo di regione, il contesto criminale entro cui l’agguato maturò. Il magistrato requirente ha fatto riferimento a una duplice causale legata al desiderio degli “zingari” d’impossessarsi del mercato cittadino della cocaina e di inserirsi nella spartizione delle “mazzette” connesse ai lavori di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria.
Il pg Di Maio per rafforzare la tesi di accusa ha fatto riferimento ai contributi offerti dai pentiti Vincenzo Dedato e Francesco Amodio per mettere in luce lo scenario mafioso di quegli anni e alle dichiarazioni rese dai collaboratori Franco Bevilacqua, Franco Bruzzese, Celestino Abbruzzese e Mattia Pulicanò per fare emergere i riscontri individualizzanti riguardanti la posizione processuale dei cinque imputati. Si tratta di Fioravante Abbruzzese, Antonio Abbruzzese e Celestino Bevilacqua per i quali il togato ha invocato la condanna al carcere a vita; e di Luigi Berlingieri e Saverio Madio nei cui confronti il requirente ha chiesto rispettivamente la condanna a 30 anni e a 28 anni e 6 mesi di carcere.

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