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Beni confiscati in Calabria: così idee e progetti stimolano l’economia del territorio

Il recente varo del progetto per la realizzazione, in un bene confiscato alla ’ndrangheta, di un polo agroalimentare sull’altopiano del Poro ha riscosso consensi. L’idea progettuale redatta dal dipartimento di Farmacia e Scienze della nutrizione dell’Unical in collaborazione con il Comune di Rombiolo e con l’Ordine degli architetti della provincia di Vibo, nonché con la SismLab, un’azienda spin-off dell’Unical specializzata nel campo dell’ingegneria civile, e “La cantina del contadino”, b&b-ristorante di Nicola Vincenzo Quercia con sede in Rende, piace tanto e appare valida.
L’idea punta a ridisegnare il profilo dell’area del Poro coinvolgendo aziende, enti, consorzi, scuole, Unical, enti locali e istituzioni. Poggia la sua forza, oltre che sul rilancio delle filiere produttive (pecorino del Poro, cipolla rossa di Tropea, ’nduja di Spilinga, funghi delle Serre), anche sulla realizzazione di percorsi idonei a privilegiare fede, ambiente, paesaggio, dieta mediterranea di riferimento. Ancora più significativo il fatto che un bene confiscato e inizialmente assegnato alla Prefettura di Vibo per scopi governativi - su un’area di poco meno di diecimila mq, di cui circa 2.500 occupati da fabbricati, pare si volesse far nascere un centro d’accoglienza per immigrati - possa essere riutilizzato per fini sociali ed economici diventando simbolo di legalità. In realtà, il progetto, illustrato dai tecnici redattori in un convegno tenutosi a Rombiolo, ha riacceso i riflettori sulla gestione dei beni confiscati il cui utilizzo procede a passo decisamente lento.
In Calabria, stando ai dati dell’Agenzia nazionale beni confiscati (Anbsc) e aggiornati allo scorso 22 febbraio, gli immobili dati in gestione sono 3.057 e le aziende 217. Negli ultimi tempi, il numero delle confische è cresciuto, ma l’utilizzo dei beni continua a incontrare difficoltà.

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