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Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia, le 10 proposte al Governo Draghi

Le tre associazione si sono espresse su rinnovabili ed efficienza per liberare l’Italia dalla dipendenza del gas. “Approvare con urgenza un decreto sblocca rinnovabili per sostituire le centrali a gas e ridurre i consumi di 36 miliardi di m3 entro il 2026”

L’esplosione della drammatica guerra in Ucraina e la preoccupazione di molte persone per l’aumento delle bollette impone di accelerare la transizione energetica del nostro Paese, come unica soluzione per uscire dalla dipendenza dal gas, a partire da quello della Russia. Per questo Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia avanzano 10 proposte al governo Draghi per affrontare in modo strutturale la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del gas. Si tratta di interventi normativi e autorizzativi da mettere in campo da qui ai prossimi mesi e che permetterebbero di ridurre i consumi di gas di 36 miliardi di metri cubi all’anno entro fine 2026, sviluppando l’eolico offshore e a terra, il fotovoltaico sui tetti, anche nei centri storici, e sulle aree compromesse (discariche, cave, etc), il moderno agrovoltaico che garantisce l’integrazione delle produzioni agricole con quella energetica, la produzione del biometano (sviluppata in un chiaro contesto di riduzione del numero complessivo di capi allevati e senza sottrazione di terreno alla produzione di cibo), gli accumuli, i pompaggi e l’ammodernamento delle reti.

In particolare le tre associazioni, chiedono in primis di autorizzare, entro marzo 2023, nuovi impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di nuova potenza installata, pari alla metà dei 180 GW in attesa di autorizzazione, da realizzare entro fine 2026; aggiornare entro giugno 2022 il PNIEC, valutando l’obiettivo di produzione del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2035; fissare subito un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio; attivare entro giugno 2022 il dibattito pubblico sugli impianti a fonti rinnovabili al di sopra dei 10 MW di potenza installata; sviluppare la produzione di biometano da Forsu, scarti agricoli, reflui zootecnici e fanghi di depurazione. E poi di escludere entro aprile 2022 l’autorizzazione paesaggistica per il fotovoltaico integrato sui tetti degli edifici non vincolati dei centri storici; rivedere entro dicembre 2022 i bonus edilizi, cancellando gli incentivi per la sostituzione delle caldaie a gas. Infine è importante anticipare al 2023 l’eliminazione dell’uso delle caldaie a gas nei nuovi edifici; istituire entro giugno 2022 un fondo di garanzia per la costituzione delle comunità energetiche; attivare entro maggio 2022 una strategia per efficienza e innovazione nei cicli produttivi e sulla mobilità sostenibile.

Negli ultimi mesi il tema energia è stato al centro del dibattito politico, anche grazie a una incessante campagna mediatica sul tema dei rincari in bolletta e a forti dinamiche speculative, alimentate prima dall’aumento dei prezzi di acquisto del gas fossile sui mercati internazionali messi in campo dagli oligopoli delle fonti fossili, in seguito alla ripartenza dell’economia mondiale dopo le prime ondate del Covid-19, e poi dalle tensioni internazionali sfociate nella terribile guerra innescata dall’invasione russa in Ucraina.
“Il problema evidente del salasso per famiglie e aziende è urgente da affrontare, ma le soluzioni adottate o prospettate dal Governo - spiegano Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia - sono anacronistiche e in controtendenza con l’urgente lotta alla crisi climatica: si va dall’aumento della produzione nazionale di gas fossile all’approvvigionamento di idrocarburi gassosi non provenienti dalla Russia, dalla possibile ripartenza di gruppi termoelettrici a carbone a quelli a olio combustibile, dal raddoppio di gasdotti operativi alla realizzazione di nuovi rigassificatori, fino ai nuovi finanziamenti alla ricerca del nucleare di quarta generazione. Il governo, per contenere gli aumenti in bolletta, ha pensato bene infine di tagliare gli extracosti relativi solo alla produzione di elettricità da fonti rinnovabili, senza interessare minimamente quelli vertiginosi delle aziende delle fonti fossili o in modo strutturale tutti gli oneri di sistema in bolletta. Il blackout nazionale del 2003 portò al varo in fretta e furia dell’infausto decreto sblocca centrali del governo Berlusconi che fece realizzare le centrali termoelettriche a gas che allora sostituirono quelle a carbone e olio; oggi la guerra in Ucraina dovrebbe portare l’Esecutivo Draghi a varare subito un ben più necessario e fausto decreto sblocca rinnovabili per sostituire gli impianti a gas con 90 GW di nuovi impianti a fonti rinnovabili da autorizzare entro 12 mesi e da realizzare nei prossimi 5 anni”.

Per le tre associazioni quelle prese fino ad oggi dall’esecutivo Draghi sono “decisioni che non entrano nel merito dell’unica soluzione efficace che ci può permettere di affrontare questo problema in modo strutturale e senza lasciare indietro nessuno: la riduzione dei consumi di gas. Un obiettivo che si può raggiungere intervenendo soprattutto sulle prime tre voci di consumo: domestico e terziario (33 miliardi di m3 nel 2021), la produzione di elettricità (26 miliardi di m3) e l’industria (14 miliardi di m3), su cui bisogna operare con un forte sviluppo delle fonti rinnovabili, concrete politiche di risparmio energetico ed efficienza energetica in edilizia, l’innovazione tecnologica nelle imprese”.

Pensare di riattivare gruppi termoelettrici a carbone o a olio combustibile è un’opzione irrilevante: se pure ripartissero 1.000 MW di potenza installata, aggiuntivi a quelli già in attività, con questi due combustibili fossili, ad esempio per 5mila ore all’anno, si potrebbero produrre 5 TWh all’anno che nei fatti permetterebbero di risparmiare solo 1 miliardo di m3 di gas fossile all’anno. Praticamente nulla al confronto del contributo strutturale e rispettoso degli obiettivi climatici e di lotta all’inquinamento atmosferico che garantirebbe lo sviluppo strutturale e convinto delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, del sistema di pompaggi e accumuli e della rete di trasmissione e distribuzione.

1. Aggiornare entro giugno 2022 il PNIEC, valutando l’obiettivo della produzione del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2035

L’Italia deve aprire immediata consultazione e aggiornare il suo Pniec alla luce dei nuovi obiettivi europei di riduzione delle emissioni climalteranti entro il 2030, passati dal -40% al -55% rispetto a quelle del 1990, puntando su uno sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, che garantirebbero una efficace riduzione dello sproporzionato ruolo del gas nell’attuale versione del PNIEC. L’Italia ha le
potenzialità per raggiungere l’obiettivo del 100% di elettricità da fonti rinnovabili al 2035, sul modello di quanto sta studiando il nuovo governo tedesco guidato da Olaf Scholz. Per raggiungere tali obiettivi è necessario valorizzare anche i 7.600 MW di pompaggi esistenti in grado di assicurare il 7% dei consumi elettrici nazionali. Al fine di garantire tale obiettivo sarebbe auspicabile avere una pianificazione pubblica delle localizzazioni degli impianti di produzione energetica a carattere industriale, pianificazione che preventivamente, considerando gli aspetti ambientali e paesaggistici in relazione al dimensionamento e alla tipologia degli impianti, sia connessa ad una procedura che permetta poi una semplificazione autorizzativa di ogni singola realizzazione.

2. Fissare entro aprile 2022 un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio

Per far fronte al rialzo dei prezzi del gas e aiutare famiglie e imprese occorre individuare risorse per ridurre l’impatto sulle bollette. Con questo scopo il governo ha recentemente approvato il taglio degli extracosti relativi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, escludendo incredibilmente le imprese impegnate nelle fossili, a partire da chi estrae e vende idrocarburi gassosi o liquidi, o produce elettricità da carbone, gas o derivati del petrolio, che negli ultimi mesi sta facendo extraprofitti davvero incredibili. Entro aprile 2022 il governo deve verificare i contratti di acquisto per il gas e definire un tetto ai profitti per le aziende energetiche impegnate sul gas fossile e sul petrolio, a partire da Eni.

3. Autorizzare entro marzo 2023 nuovi impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di nuova potenza installata, pari alla metà dei 180 GW in attesa di autorizzazione, da realizzare entro fine 2026

Lo scorso 25 febbraio l’associazione confindustriale Elettricità Futura ha chiesto al Governo e alle Regioni di autorizzare entro giugno 2022 nuovi impianti a fonti rinnovabili per 60 GW di potenza, pari a un terzo delle domande di allaccio già presentate a Terna, da realizzare in 3 anni. Con un ulteriore sforzo straordinario sulla falsariga di quanto proposto da Elettricità Futura, il Governo e le Regioni dovrebbero
autorizzare entro marzo 2023 progetti di nuovi impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di potenza installata, pari alla metà dei 180 GW in attesa di autorizzazione, da realizzare entro 5 anni, per ottenere un risparmio di 36 miliardi di metri cubi di gas ogni anno a partire dal 2026. Sarà necessario, inoltre, accompagnare questo sviluppo con quelli degli accumuli e della rete che deve essere potenziata per poter ricevere e scambiare i flussi energetici. Il MITE deve promulgare immediatamente i decreti attuativi della nuova legge rinnovabili (8 novembre 2021), che tengano conto degli obiettivi di cui sopra. Per garantire il raggiungimento di questo obiettivo ambizioso deve essere istituita per i prossimi 12 mesi una task force nazionale di tecnici presso il Mite per supportare in modo straordinario le istruttorie di valutazione dei progetti presso la Commissione Via.

4. Attivare entro giugno 2022 il dibattito pubblico sugli impianti a fonti rinnovabili al di sopra dei 10 MW di potenza installata

Come fatto dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili per le infrastrutture, anche per i progetti per l’energia deve essere garantita l’attivazione del dibattito pubblico in modo da informare e coinvolgere le comunità, rendere trasparente il processo di approvazione delle opere. Per tutti i progetti, compresi quelli della transizione energetica al di sopra dei 10 MW di potenza istallata (eolico a terra e  offshore, agrovoltaico, fotovoltaico a terra), attraverso una procedura che permetta di stabilire tempi certi e il diritto dei cittadini ad essere informati, a potersi confrontare sui contenuti dei progetti, ad avere risposta rispetto alle preoccupazioni emerse. A tal fine deve essere rivista la normativa sul Dibattito pubblico (DPCM 76/2018, Allegato 1) e sull’Inchiesta pubblica (articolo 24.bis, Decreto Legislativo 152/2016). L’intervento normativo deve portare ad abbassare ulteriormente le soglie al momento previste dall’ordinamento vigente per rendere la procedura di dibattito pubblico obbligatoria per un numero più ampio di progetti di infrastrutture e impianti energetici e di introdurre l’inchiesta pubblica per i progetti sottoposti a procedura di valutazione ambientale nazionale o anche su scala regionale. In questo modo per tutti i progetti di opere rilevanti che riguardano il territorio si potrebbe avere un percorso di informazione e partecipazione, obbligatorio sopra certe soglie da far scattare anche su richiesta dei Comuni coinvolti, di cittadini organizzati in forme rappresentative e associazioni ambientaliste riconosciute o da parte del proponente. Inoltre, si dovrebbe prevedere un percorso coordinato di organizzazione del confronto pubblico – e non separato tra dibattito e inchiesta -, che sia basato sul progetto di fattibilità per arrivare alla redazione del progetto definitivo, attraverso una commissione nazionale indipendente sul modello francese che individui anche un elenco di esperti come coordinatori garanti del percorso, in modo da semplificare il processo. Un processo che sia coordinato con la procedura preliminare di VIA già esistente, ai sensi della normativa vigente. Non si deve derogare da processi di partecipazione che aiutano a costruire il consenso nei territori, ma semmai occorre rendere più efficaci le procedure e i temi del dibattito pubblico.

5. Sviluppare la produzione di biometano da FORSU, scarti agricoli, reflui zootecnici e fanghi di depurazione

La produzione di biometano è una grande opportunità per l’economia circolare e per la lotta alla crisi climatica nel nostro Paese. È una opportunità che tuttavia deve essere sviluppata in un contesto ben definito di riduzione del numero complessivo di capi allevati e senza entrare in competizione con l’uso di terreni per la produzione di cibo, per evitare ulteriori impatti su clima e biodiversità, e garantire la sicurezza alimentare. Lo sviluppo degli impianti a biometano, in questa cornice, è fondamentale e comporta notevoli vantaggi ambientali su: chiusura del ciclo dei rifiuti organici differenziati (FORSU), degli scarti agricoli, dei sottoprodotti dell’agroalimentare, dei reflui zootecnici e dei fanghi di depurazione; restituzione al suolo del carbonio per fermare i processi di desertificazione; produzione di energia da fonte rinnovabile; estrazione e reimpiego della CO2; contributo alla decarbonizzazione. L’Italia con i suoi 2mila impianti (l’80% dei quali è in ambito agricolo) è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto al mondo ma il potenziale produttivo di biometano, secondo alcune stime, potrebbe essere ancora più elevato.

6. Escludere entro aprile 2022 l’autorizzazione paesaggistica per il fotovoltaico integrato sui tetti degli edifici non vincolati dei centri storici

Oggi in Italia realizzare un impianto fotovoltaico o solare termico sul tetto in un centro storico è nei fatti impossibile, perché persino per edifici costruiti negli anni ‘60 e impianti integrati e paralleli alle coperture, invisibili dalle strade, occorre passare da un parere vincolante delle Soprintendenze che porta a una sicura bocciatura, nonostante il DPR 31/2017 abbia previsto una autorizzazione semplificata e non
quella ordinaria (vale la pena sottolineare come il passaggio dalle forche caudine della Sovrintendenza valga solo per i centri storici, mentre per tutte le altre aree vincolate, anche di particolare pregio paesaggistico, non è più necessaria alcuna autorizzazione). Anche la previsione dei 2,2 miliardi di euro nel PNRR per costituire comunità energetiche nei Comuni al di sotto dei 5mila abitanti rischia di rimanere disattesa, visto che molti di questi borghi rientrano in questa categoria. Con il Decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 è stata semplificata la procedura di autorizzazione semplificata e prevista l’esclusione dall’autorizzazione paesaggistica per alcune categorie di interventi chiaramente individuati dalla norma e da un elenco specifico. In particolare, l’esclusione riguarda l’installazione di pannelli solari a servizio di edifici “purché integrati nella configurazione delle coperture, o posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda degli edifici”. Il problema è che questa semplificazione non vale in centri e nuclei storici, anche qualora gli interventi seguano queste attenzioni rispetto all’integrazione e risultino non visibili da piazze e strade principali, in questo modo bloccando la diffusione delle rinnovabili in una parte non trascurabile del patrimonio edilizio italiano. Per semplificare le procedure, a partire dalla conversione in legge del decreto legge 17/2022 per affrontare i rincari in bolletta, occorre eliminare il riferimento alla lettera C dal riferimento delle esclusioni nell’Allegato A del DPR 31/2017, equiparando le condizioni degli immobili ricadenti nei centri storici con quelli di tutte le altre aree vincolate.

7. Rivedere entro dicembre 2022 i bonus edilizi, cancellando gli incentivi per la sostituzione delle caldaie a gas

Il Governo approvi entro dicembre 2022 una strategia per accelerare gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e privato. Per tutti gli incentivi in vigore (detrazioni fiscali per gli interventi su abitazioni private e conto termico per quelli sul patrimonio pubblico) gli incentivi devono essere legati alla riduzione dei consumi energetici e di gas, premiando la sostituzione con pompe di calore e
l’autoproduzione da fonti rinnovabili. In particolare sul superbonus del 110% serve un cambio di paradigma. Questa misura deve essere
percepita come uno strumento di politica ambientale e climatica e non semplicemente come sostegno economico al settore edilizio, in grave crisi da vent’anni. Deve essere stabilizzata, significativamente semplificata, resa giusta ed equa con una reale e concreta attenzione verso i ceti più deboli che sono gli stessi che si trovano in condizioni di povertà energetica, deve rendere più facili ed economicamente convenienti gli interventi più performanti dal punto di vista dell’efficienza energetica e deve essere corretta negli errori più evidenti: promuove l’uso delle fonti fossili, come nel caso dell’acquisto delle caldaie a gas, ed è ingiusta perché esclude le case prive di impianto termico fisso, e quindi le famiglie più povere, nonché una parte importante del patrimonio edilizio del Sud d’Italia che è fatto di abitazioni che sono riscaldate con impianti meno efficienti e pericolosi, quali stufe a gas ed elettriche e che, proprio per questo, sarebbe più utile e sicuro rendere efficienti, oltre ad escludere dal 2023 le abitazioni indipendenti e dal 2024 i piccoli condomini o immobili con poche unità abitative, scelte che aumentano le disuguaglianze. Gli incentivi devono essere prorogati al 2030, per sostenere l’efficientamento del patrimonio edilizio. E se alcuni di questi risultati si potrebbero già ottenere con interventi di reale semplificazione da inserire nel prossimo Decreto in fase di redazione, ma la vera svolta ed efficacia si potrà avere solo con una riscrittura complessiva dell’intera normativa sui bonus edilizi, nella forma di vere e proprie norme tecniche, nell’ambito della quale dare certezze agli investimenti e dove si potrà anche prevedere una diversa modulazione delle intensità di aiuto sulla base dell’efficienza degli interventi e del reddito. E per facilitare tutto questo ma anche per combattere la povertà energetica è necessario un Fondo per aiutare le famiglie con maggiori disagi ad accedere al superbonus, coprendo le spese accessorie (esempio la maggiorazione bancaria del prestito all’impresa sulla cessione del credito) Infine, occorre rivedere i bonus elettricità e gas di contrasto alla povertà energetica, semplificando l’accesso per le famiglie con figli a basso reddito e per gli anziani, prevedendo risorse per campagne di informazione da realizzare in collaborazione con i Comuni e centri territoriali con protagonismo del Terzo settore per fare da accompagnamento alle fasce socialmente svantaggiate. Per accelerare gli interventi da parte degli Enti Locali occorre rafforzare il supporto per la progettazione e la formazione dei tecnici, attraverso la creazione come negli altri Paesi europei di un Agenzia nazionale per l’efficienza energetica.

8. Anticipare al 2023 l’eliminazione dell’uso delle caldaie a gas nei nuovi edifici

La nuova proposta di revisione della Direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia EPBD, presentata a fine dicembre dalla Commissione Ue, propone lo stop a incentivi per le caldaie a gas dal 2027 e l’eliminazione dei combustibili fossili nel riscaldamento entro il 2040. Per tagliare le emissioni del 55% in 8 anni, serve accelerare la dismissione dei sistemi fossili, anticipando al 2023 la scadenza per vietare l’installazione di impianti da fonti fossili nei nuovi edifici (scelta semplificata dal fatto che già per Legge devono avere prestazioni NZEB), e stabilire dal 2026 il divieto di installazione in ristrutturazioni che beneficiano di incentivi pubblici.

9. Istituire entro giugno 2022 un fondo di garanzia per la costituzione delle comunità energetiche

Oltre ad approvare con celerità i decreti attuativi previsti nella RED II anche per non bloccare il processo di sviluppo di queste nuove realtà, entro giugno 2022 si deve istituire un fondo di garanzia per consentire ad un numero maggiore di soggetti di accedere ai finanziamenti per la realizzazione di Comunità energetiche. Le comunità energetiche oggi sono finalmente possibili e convenienti grazie all’autoproduzione e degli incentivi di cui beneficiano. Gli interventi però rischiano di essere rallentati dalla barriera che hanno alzato le banche nei confronti di soggetti giuridici nuovi, come le comunità energetiche, che non offrono garanzie e non possono farlo indirettamente attraverso i soci. Mentre per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti il problema dell’accesso al credito per la realizzazione di comunità energetiche è stato risolto con la specifica misura inserita nel PNRR, è necessario che questa possibilità sia estesa ai tanti e diversificati soggetti che possono divenire soci di comunità energetiche, oltre ad indirizzare specifiche risorse anche per le aree con maggiori criticità sociali ed
economiche, come le periferie, dove le CER possono giocare un ruolo importante anche di riscatto sociale. Vale la pena infine considerare un allargamento dei beneficiari dei finanziamenti del PNRR per la costituzione delle comunità energetiche anche ai Comuni al di sopra dei 5mila abitanti, con risorse aggiuntive, per prevedere questa opzione anche ai Comuni medio grandi.

10. Attivare entro maggio 2022 una strategia per efficienza e innovazione nei cicli produttivi e sulla mobilità sostenibile

Occorre tagliare le importazioni di gas e aiutare le imprese in crisi in questa congiuntura attraverso interventi di efficientamento energetico e autoproduzione da rinnovabili che riducono i consumi in modo strutturale. Il problema è che le politiche in vigore sono del tutto inefficaci, troppo complicate e slegate da qualsiasi obiettivo di riduzione dei consumi di gas. Il Governo deve presentare entro maggio 2022 una proposta di revisione dei titoli di efficienza energetica per l’industria, per premiare e semplificare tutti gli interventi che riducono i consumi di gas nei processi produttivi e che prediligono autoconsumo con le fonti rinnovabili. Inoltre serve emanare delle linee guida e di finanziamento per attivare la ripianificazione dei distretti produttivi in chiave circolare, in modo che i processi produttivi delle aziende si integrino tra loro aumentando l’efficienza e diminuendo gli sprechi di materia e di energia. Gli incentivi all’acquisto di mezzi di mobilità per i privati (vedi DL 17/2022) e i nuovi bandi pubblici per gli acquisti di mezzi di trasporto (passeggeri, servizio e merci), compresi quelli inclusi nel Piano nazionale mobilità sostenibile, devono riguardare esclusivamente mezzi elettrici e batteria e, limitatamente ai mezzi di lunga percorrenza, a biometano, bio-GNL, a partire dal 1 giugno 2022. L’idrogeno nei trasporti a lunga percorrenza deve essere previsto in via sperimentale essenzialmente nel trasporto merci pesante su strada, navale e in prospettiva aereo. Si deve aggiungere nei titoli di sostegno delle fonti rinnovabili nei trasporti (CIC) anche l’elettricità rinnovabile attualmente inspiegabilmente esclusa dalla legge rinnovabili ed escludere dal DL 17/2022 ulteriori forme di agevolazioni dell’autotrasporto merci e riconoscere invece agevolazioni al trasporto merci ferroviario.

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