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La ’ndrangheta calabrese non conosce confini: le migrazioni ‘deviate’ dei boss e i patti con i narcos

Hanno insediato “locali” e ‘ndrine in ogni angolo del globo, puntando sui paesi del Pacifico, come Australia e Nuova Zelanda, così come verso le nazioni baciate dall’Atlantico, Argentina, Stati Uniti, Canada, Costarica

Una mafia senza più confini. La ‘ndrangheta calabrese conferma d’essere una organizzazione criminale transnazionale con interessi e cellule operative presenti in tutti i continenti. È quanto emerge dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia che delinea un quadro preoccupante.

Sfruttando l’emigrazione in modo deviato i boss calabresi hanno insediato “locali” e ‘ndrine in ogni angolo del globo, puntando sui paesi del Pacifico, come Australia e Nuova Zelanda, così come verso le nazioni baciate dall’Atlantico, Argentina, Stati Uniti, Canada, Costarica, stringendo patti con i “cartelli” dei narcotrafficanti attivi tra Colombia, Brasile, Perù, Bolivia, Uruguay e Paraguay. Non è un caso che i latitanti di peso siano stati catturati dalle forze dell’ordine italiane, negli ultimi anni, proprio nell’America Latina (si pensi a Rocco Morabito, Roberto Pannunzi e Vincenzo Macrì). La ‘ndrangheta mostra d’essere in contatto anche con il mondo politico-istituzionale degli stati in cui s’è insediata come dimostrano indagini spinose condotte nell’ultimo decennio sia in Canada che in Australia.

Ma boss e picciotti hanno conquistato sempre più spazi e ruoli anche nel vecchio continente: Spagna, Germania, Olanda, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Regno Unito, Grecia, Romania, Portogallo, e Malta rappresentano i luoghi dove le ‘ndrine operano colossali operazioni di riciclaggio attraverso corposi investimenti nei settori della ristorazione, in quello alberghiero, immobiliare e dell’agricoltura. Gli stati europei non appaiono giuridicamente attrezzati per affrontare e combattere l’emergenza ‘ndrangheta.

La Dia pone anche l’attenzione sul radicamento della mafia calabrese nel settentrione d’Italia: l’opera d’infiltrazione cominciata alla fine degli anni 60 del secolo scorso ha ormai generato un consolidamento funzionale delle cosche in aree della Penisola apparentemente – ma solo apparentemente – estranee alle derive della criminalità organizzata calabra. Gli investigatori ritengono che nel Nord d’Italia siano attivi ben 46 “locali” ai quali sono collegate naturalmente piccoli e grandi ‘ndrine.

Le storie giudiziarie recenti riguardanti San Giusto Canavese (Torino) e Lonate Palazzolo (Varese), Lona Lases (Trento) e Desio (Monza e Brianza), Lavagna (Genova) e Pioltello (Milano) testimoniano di questa lenta e inesorabile “invasione” con gravi conseguenze per l’economia legale e l’imprenditoria. I “locali” sarebbero così distribuiti: 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige. La ‘ndrangheta, rileva la Relazione, risulta «perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extraregionali” ed i numeri “dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi”.

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