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Gli afghani in salvo in Calabria già a giugno

Tre mesi fa cooperanti di rilievo per l’Italia messi in salvo dall’esercito ad Herat e ospitati nelle strutture militari in Sila. L’intelligence aveva previsto l’escalation talebana, trasferendo mediatori e interpreti

Militari italiani in Afghanistan (immagine d'archivio)

L’Italia ha messo in salvo già nel giugno scorso i collaboranti afghani che più si erano impegnati a Herat accanto ai nostri soldati. E tutto è avvenuto senza sbavature, in modo efficiente e “riservato”. Con l'inizio del ritiro delle nostre truppe interpreti, operatori di supporto, traduttori e mediatori sono stati infatti portati in Europa con voli militari partiti dal paese asiatico. Uomini e donne, con al seguito i loro bambini, sono stati poi trasferiti, almeno in parte, in Calabria. La rete informativa messa in piedi dal nostro governo nella nazione del Panshir faceva presagire tragiche conseguenze per quanti avevano accettato di lavorare con gli occidentali negli ultimi quattro lustri. E così, mentre la situazione sul campo ad Herat appariva ancora tranquilla, le strutture dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica presenti in Sila hanno cominciato ad ospitare circa 140 persone provenienti da quell’angolo remoto di mondo.

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