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'Ndrangheta e boss "pentiti": quelle rivelazioni in punto di morte di “Saragat”

L'omertà violata. I capibastone calabresi hanno una tradizione di resistenza al pentitismo che nessun'altra mafia italiana può vantare. L'ultimo a “cantare”, prima del padrino cutrese, era stato Domenico Critelli, per decenni capintesta di Cariati e reso celebre da un evocativo soprannome: “Saragat”. Il vecchio 'ndranghetista era stato deposto dal suon “trono” dopo quarant'anni di “onorata carriera”. “Posato” senza rispetto per ordine dei maggiorenti del “locale” di ’ndrangheta di Cirò Marina. “Saragat” era tornato a casa per ragioni di salute nel 2014, lasciandosi alle spalle il carcere ed una condanna pesante passata in giudicato. Tornato tra la sua gente, aveva però subito capito che tante cose erano cambiate: i cirotani l’avevano mandato per sempre in “pensione”.

Dopo lustri di omertà e malandrineria, l’avevano “licenziato” come l’ultimo degli infami. È per questo che, nel giugno del 2015, pochi mesi prima di morire divorato dalla malattia, ha poi deciso di parlare con i carabinieri e con i magistrati, rivelando i segreti mafiosi dell’area compresa tra Cariati, Corigliano, Rossano, Cirò e Strongoli. Poco più a sud, in provincia di Reggio Calabria, è stato invece Giuseppe Costa, nel 2012, a violare la consegna del silenzio ed a raccontare ai magistrati della Dda reggina, i retroscena di affari e delitti riferibili alla sua cosca di appartenenza e al fratello Tommaso. A Siderno, i Costa sono stati per decenni in guerra con i Commisso.

E sempre nel Reggino, ma questa volta nella Piana di Gioia Tauro, aveva deciso di pentirsi pure Saverio Mammoliti, di Castellace, rivelando fatti e misfatti della faida di Oppido Mamertina. Da collaboratore, tuttavia, “don Saro” era stato riarrestato con l'accusa di estorsionenel 2014. A Reggio, invece, ha deciso di saltare il fosso Paolo Iannò, capobastone di Gallico ed ex braccio destro di Pasquale Condello, detto “il supremo”. Iannò non ha mai interrotto la sua collaborazione con lo Stato. Nella Calabria settentrionale, invece, hanno saltato il fosso, nel 1995, Franco Pino, inteso come “occhi di ghiaccio”, capo storico delle ‘ndrine di Cosenza e Giuseppe Cirillo suo parigrado nella Sibaritide. Grazie alle loro confessioni sono stati individuati mandanti ed esecutori di decine di agguati di mafia nel Cosentino.

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