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Fratricidio a Mongrassano, l’agghiacciante racconto reso dalla supertestimone

Era sull’auto con Giuseppe Marino autore dell’assassinio del fratello Pasquale

Il luogo dell'omicidio (FOTO ARENA)

Cronache dell’orrore. La testimone chiave nelle indagini condotte per far luce sul fratricidio di Mongrassano è una donna. È la cognata di Giuseppe Marino, 45 anni, che ha travolto e ucciso con la propria auto il germano Pasquale, 47, tornato in Italia dal Perù per lavorare nelle terre di famiglia. La donna era a bordo delle vettura dell’assassino, insieme con un bambino di 10 anni. Gli era seduta accanto. Il suo racconto è la cronaca, momento per momento, dell’efferato crimine. «Abbiamo trovato la Seat ferma con Pasquale e Katia (la figlia dell’omicida n,d,r,), notando che Pasquale teneva aperto il portabagagli mentre Katia, con l’aiuto di due amici, stava caricando in macchina alcuni suoi effetti personali messi in delle borse ed in una busta grande nera. Immediatamente abbiamo pensato che Katia volesse scappare con lo zio Pasquale. Vista questa scena Giuseppe, senza pensarci su, ha ingranato la marcia in avanti ed ha colpito Pasquale alle gambe stringendolo verso la Seat. Dopo l’urto Pasquale è caduto per terra e Giuseppe, dopo aver fatto retromarcia, ha nuovamente innestato la marcia in avanti e lo ha investito per la secondo volta. Poi non ho capito bene se facendo nuovamente retromarcia lo abbia investito una terza volta».
Ma come ha vissuto i momenti del delitto la supertestimone?
«In quegli istanti mi sono messa a gridare e sono rimasta impietrita dalla paura. Non ho avuto alcuna possibilità di evitare quello che è successo, ero scossa e non riuscivo a reagire. Non avevo con me neanche il telefono per cui non ho potuto chiamare i soccorsi». Sulla vettura, spettatore inerme e terrorizzato, c’era un bimbo di dieci anni. Il piccolo era basito.
E poi cosa accadde? Il racconto della donna è lucido e articolato: «Mentre andavamo via mi sono girata ed ho visto che Pasquale era per terra e c’era del sangue». L’omicida si è quindi diretto verso Cavallerizzo e dopo aver avvisato il figlio, ha lasciato l’auto usata per il delitto in quella zona.
«Per andare a Cosenza, io, Giuseppe e il bambino» rivela la testimone «siamo andati a piedi fino a casa mia, dove ho lasciato il piccolo a mia figlia e preso la mia auto partendo in direzione di Cosenza, imboccando l’autostrada per incontrare l’avvocato perché Giuseppe voleva costituirsi. Giunti davanti al palazzo di giustizia, una pattuglia dei carabinieri ci ha bloccato». Il resto è ormai noto: Marino è stato fermato per ordine del procuratore Mario Spagnuolo e del pm Donatella Donato ed ha reso confessione.
Le carte prodotte al gip Manuela Gallo dal pm Donato pongono in evidenza tuttavia un altro particolare: Giuseppe Marino aveva da tempo pensato di uccidere il fratello. Agli atti presenti nella denuncia fatta dalla figlia Katia contro il padre per maltrattamenti, c’è una relazione di servizio dei carabinieri. Si riferisce al 18 febbraio scorso quando gl’investigatori dell’Arma compiono accertamenti in casa di Giuseppe Marino e ascoltano distintamente l’uomo dire alla figlia: «secondo me tra te e tuo zio c’è qualcosa e se malauguratamente lo vengo a sapere vi faccio fuori entrambi... Anzi già lo dico a tua madre di preparare la valigia per andarmene nel carcere di via Popilia a Cosenza». Ascoltata dopo il barbaro assassinio dello zio Pasquale, la ragazza ha negato con decisione l’esistenza di una relazione amorosa con il congiunto.

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