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Veti, pressioni, minacce. I dieci anni di Speranza alla guida di Lamezia

I retroscena raccontati in un libro. Il sindaco-professore guidò la quarta città calabrese tra il 2005 e il 2015

Gianni Speranza

Ma dove vuoi che vada un ex militante comunista «rompiscatole e fazioso, un po’ “Pierino”», uno che tutti chiamano «Giannetto», che non viene dai salotti buoni, che in Calabria non ci è nato e non ha nemmeno parenti, in una città difficile come Lamezia? Erano questi i discorsi che risuonavano in certi ambienti politici quando nel 2005, dopo il secondo scioglimento per mafia, Gianni Speranza spuntò come candidato a sindaco. Malvisto perfino da esponenti importanti della sinistra lametina, prima di allora non aveva maturato esperienze amministrative - al netto di qualche mese da assessore - ma aveva alle spalle l’impegno nelle vecchie sezioni del Pci che lo aveva portato a lasciare gli studi - poi ripresi a 33 anni - per fare politica a tempo pieno. Contro di lui il centrodestra schierava un candidato forte che era addirittura assessore regionale alla Sanità. Ma succede che Speranza vince. Ancor prima del suo insediamento, i vigili urbani suonano al citofono di casa: sono i primi a chiamarlo «sindaco» ma non sono lì per gli auguri, bensì per comunicargli che qualcuno ha incendiato il portone della sala consiliare in centro. Comincia così la sua «storia fuori dal Comune» che oggi è il titolo di un bel libro in uscita per Rubbettino.

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