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'Ndrangheta: per la Dia "non è più impermeabile, aumentano i collaboratori"

Uno dei punti di forza dell’organizzazione sta «nella sua capacità di intrecciare legami diretti e collaborazioni criminali con qualsiasi tipo di interlocutore: politici, esponenti delle Istituzioni, imprenditori, professionisti», evidenzia la relazione

La 'ndrangheta sta perdendo la sua caratteristica di organizzazione monolitica ed impermeabile a fenomeni come i la collaboratori con la giustizia di affiliati e imprenditori e commercianti taglieggiati e costretti in precedenza all’omertà. Lo rileva la Direzione investigativa antimafia nella relazione semestrale al Parlamento presentata oggi.

«Un numero sempre maggiore di collaborazioni con la giustizia di soggetti appena tratti in arresto per vari reati - indicano gli investigatori - sta frantumando quel clima di omertà e di impenetrabilità che aveva contraddistinto questa organizzazione mafiosa, realtà sempre più percepita dei cittadini che, in numero ormai significativo, stanno decidendo di collaborare alle indagini testimoniando il loro assoggettamento alle estorsioni mafiose».

La 'ndrangheta mantiene comunque saldamente la propria leadership nei grandi traffici di droga, continuando ad acquisire forza e potere. L’emergenza pandemica, nota la Dia, "non ha in alcun modo rallentato il florido mercato del traffico internazionale di stupefacenti destinati anche alle piazze di spaccio».

Ma uno dei punti di forza dell’organizzazione sta «nella sua capacità di intrecciare legami diretti e collaborazioni criminali con qualsiasi tipo di interlocutore: politici, esponenti delle Istituzioni, imprenditori, professionisti». Si tratta, evidenzia la relazione, «di soggetti potenzialmente in grado di venire incontro alle esigenze delle cosche, sicché da ottenere indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche». Si conferma poi la presenza delle cosche in numerosi regioni - in tutto il Nord, dalla Valle d’Aosta al Trentino Alto Adige - e all’estero, nonché in Europa (dalla Spagna alla Francia, dalla Germania al Regno Unito) e America.

La proposta del direttore della Dia Maurizio Vallone

Un controllo amministrativo preventivo da parte dei prefetti, non sulle imprese che partecipano ai bandi ma sull'appalto stesso. Con l’arrivo dei fondi del Recovery la Direzione investigativa antimafia lancia una proposta per evitare che gli infiniti ricorsi blocchino le gare e allo stesso tempo garantire allo Stato uno strumento concreto per monitorare possibili infiltrazioni mafiose.

A spiegarla è il direttore della Dia Maurizio Vallone, una lunga esperienza nella lotta alle mafie, da quella al clan dei casalesi fino a quella alle 'ndrine da questore di Reggio Calabria. «Uno dei grandi problemi delle interdittive antimafia - argomenta Vallone - sta nel fatto che se l’impresa viene esclusa dall’appalto, o si aspettano le decisioni dei tribunali amministrativi, ritardando di anni la realizzazione delle opere, una scelta grave e che lo sarebbe ancora di più in una situazione di pandemia, oppure si assegna la gara alla seconda classificata, aprendo però la strada a contenziosi milionari se la ditta esclusa dovesse vincere».

Controllo in mano ai prefetti. Non sull'impresa, ma sull'appalto

Come se ne esce dunque? La soluzione avanzata dalla Dia è quella di utilizzare l’articolo 34 bis del Codice Antimafia, con la differenza che il controllo spetterebbe ai prefetti e non sarebbe sull'impresa quanto sull'appalto. «Sulla base del 34 bis, quando un tribunale ritiene che ci siano elementi da approfondire - spiega ancora Vallone - anziché interdire la ditta, si stabilisce un controllo giudiziario per sei mesi nei quali l’impresa continua ad esercitare nel pieno delle sue funzioni, ma deve rendere conto al delegato del tribunale di ogni sua operazione. Invece, in via
amministrativa, per similitudine, il prefetto potrebbe rilasciare la certificazione antimafia operando, però, un
controllo su tutto l’appalto, conto corrente unico, elenco fornitori e subappaltatori. Il controllo termina alla
conclusione dell’appalto». Così facendo, è la conclusione del direttore della Dia, «lo Stato ha la sicurezza del controllo dell’appalto, un controllo leggero e non invasivo. Ma se dobbiamo velocizzare le procedure non possiamo tenere bloccati gli appalti, servono strumenti veloci e speditivi ma che garantiscono l’impermeabilità dell’appalto a fronte degli appetiti criminali».

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