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Cutro, "Sono stato ’ndranghetista, ho sbagliato"

Le parole di Gianluigi Sarcone in una lettera ai giudici della Corte d’Appello di Bologna che lo hanno condannato a 14 anni di carcere

I carabinieri davanti ad una delle ville dei Sarcone a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia

«Incomincio con il prendere le distante dall’associazione. Me ne dissocio pubblicamente». Si rompe il muro dell’omertà tra le fila degli appartenenti alla costola emiliana della cosca Grande Aracri di Cutro che per decenni hanno dettato legge al di là del Po. A compiere per il primo il passo indietro è Gianluigi Sarcone, di origini cutresi ma residente a Bibbiano, che ha preso le distanze dall’organizzazione criminale che fa capo al boss Nicolino Grande Aracri, detto “Mani i gumma” (detenuto in regime di 41 bis nel carcere milanese di Opera). Una vera e propria dissociazione dal suo passato di capo ’ndranghetista nella terra di Giovannino Guareschi messo nero su bianco nella lettera che l’imprenditore 50enne ha fatto pervenire ai giudici della Corte d’Appello di Bologna che l’ha condannato a quattordici anni e sei mesi di reclusione nello stralcio del processo di secondo grado scaturito dall’inchiesta “Aemilia”. Ma non solo. Nella missiva firmata dall’imputato (che i magistrati della Procura distrettuale felsinea considerano come la mente economica del gruppo mafioso) si legge anche la sua confessione di aver fatto parte della “locale” di Cutro dal 2004 al 2015.

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